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Il lavoro ci definisce?

Nell’ultimo periodo mi è capitato di sentire spesso riflessioni sul lavoro e sull’importanza che questo ha nelle nostre vite. E per fortuna, mi viene da dire, perché prima o poi qualcuno doveva parlarne, di questa cosa qua. Non nego che tutti questi discorsi cadano a pennello se penso alla mia stessa vita e al fatto che, in linea di massima, non ho un lavoro dei sogni. Ci sono tante cose che vorrei fare, forse troppe, e sceglierne una mi spaventa e mi crea non pochi pensieri. Ogni tanto questi pensieri sul mio futuro lavorativo sono piuttosto burrascosi ed è per questo motivo che ho deciso di scrivere a riguardo, per dar loro un filo logico.

Ci sono certe persone che nascono o crescono con l’idea di voler fare uno specifico lavoro e, nella loro vita, hanno la fortuna e la costanza di perseguire questo sogno e di portarlo a termine. Non nego di aver sempre invidiato queste persone. Quanto deve essere bello aver trovato il proprio scopo e avere il dono di metterlo in atto ogni giorno nel proprio lavoro? Per me non è mai stato così. Ci sono stati periodi della mia vita, quando ero più piccola, in cui volevo fare il medico, altri periodi in cui volevo fare l’insegnante, altri ancora in cui il mio sogno era fare la guida turistica. E ora la verità è che non lo so più, ma sto anche cominciando ad accettarlo.

Recentemente mi è capitato spesso di fare discorsi riguardo al lavoro con le persone che fanno parte della mia quotidianità, proprio perché è un argomento che mi sta molto a cuore e su cui mi interrogo molto. Le riflessioni che sono emerse da queste discussioni sono risultate a dir poco illuminanti. Innanzitutto, ho cominciato a ragionare sul fatto che viviamo in un era in cui se qualcuno ci chiede “Cosa fai nella vita?”, con ogni probabilità rispondiamo alla domanda dicendo il lavoro che facciamo. In realtà, ci sono tanti altri aspetti che ci definiscono, al di là del lavoro. Le nostre passioni, i nostri desideri, la nostra spiritualità, i nostri legami con gli altri.

Alla luce di queste riflessioni, ho cercato di cambiare prospettiva e di non considerare più il lavoro come il centro della mia vita e della vita degli altri. Non nego che sia una parte importante, ma non è tutto. Possiamo trovare la felicità senza dubbio nel lavoro, e sarebbe indubbiamente un privilegio, ma non solo. Il modo in cui riempiamo il tempo libero, il volontariato, i viaggi, le relazioni, sono solo alcuni dei modi attraverso i quali possiamo riempire la nostra vita di bellezza e autenticità, al di là del lavoro.

É proprio per questo che ritengo che ci sia un’altra questione fondamentale di cui parlare quando si affrontano argomenti come questo. Si tratta del fatto che spesso si giudica un lavoro solo in base al salario e alla sua “prestigiosità”. Tuttavia, credo che si debba considerare il valore di un lavoro anche in base ad altri parametri, come il tempo libero che ci permette di avere e la tranquillità che ci dona, o il fatto che rispecchi o meno i nostri valori.

Ho quindi cominciato a non chiedermi più « Che lavoro voglio fare? », ma « Cosa voglio dal mio lavoro?». Credo sia importante cambiare prospettiva in modo da avere una vita lavorativa più soddisfacente e completa, anche perché la risposta alla seconda domanda può cambiare nel corso del tempo. In un certo momento della vita, la risposta potrebbe essere « Vorrei un lavoro che mi dia abbastanza tempo libero per viaggiare », oppure « Vorrei un lavoro che mi permetta di aiutare la mia comunità », o ancora «Vorrei un lavoro che mi faccia stare serena economicamente». Insomma, vedete un po’ voi, questi sono solo esempi.

Il mio consiglio, per chi come me si sente un po’ spaesato nella giungla del mercato lavorativo, è quello di fermarsi e chiedersi quale sia la propria priorità in quel momento e come il lavoro ci possa aiutare a realizzarla, qualunque essa sia. Per alcune persone, ad esempio, il lavoro è semplicemente un mezzo per guadagnare denaro e nulla di più, per altre invece è la loro ragione di vita. Entrambe queste visioni del lavoro – assieme a tutte le loro declinazioni e a ciò che ci sta in mezzo – sono lecite e degne di rispetto.

Sarà banale, ma voglio anche ribadire qualcosa che a mio avviso non viene mai ribadito abbastanza. Al di là del percorso di studi intrapreso, si ha sempre il diritto di cambiare idea e di rimodellare il proprio futuro, lavorativo e non. Il percorso di studi non dovrebbe essere una sentenza definitiva sul proprio lavoro e in generale sulla propria vita. É lecito pensare di aver fatto scelte sbagliate, scoprire in un determinato momento che in realtà vogliamo cose diverse, mollare un lavoro considerato perfetto dalla società, trasferirsi all’estero, prendersi tempo per sé, tornare a studiare. Con questo voglio dire che la società spesso ci inganna quando ci dice che, siccome magari abbiamo due lauree, dobbiamo fare un determinato tipo di lavoro, prestigioso e di livello, anche se magari il nostro reale desiderio è quello di fare i panettieri, i fiorai o i pet-sitter.

Dico questo perché, nonostante io abbia molti dubbi sul mio futuro, una cosa la so: non voglio vivere una vita scelta da altri. Voglio rimanere autentica a me stessa, compiendo delle scelte che per me hanno un senso e che mi rendano felice. Lo voglio fare anche se questo vuol dire avere un lavoro considerato dai più “umile”. Perché alla fine, se non siamo felici della nostra vita, cosa viviamo a fare?

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Elisa Manfrin

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