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Scomodare: come non vincere al gioco della sedia

Sin da piccola, il gioco della sedia mi destava una certa dose di ansia. Per le fortunate persone che non lo conoscono, è una attività a eliminazione che anima le feste e le lezioni delle elementari. Ovvero, con la musica di sottofondo, un numero preciso di bambinə gira attorno a un numero inferiore di sedie – per esempio nove pargoli per otto sedute – e, quando la canzone si ferma, ciascunə bambinə doveva accaparrarsi una sedia. Ovviamente, chi rimaneva in piedi veniva eliminato dal gioco. Per niente stressante. Non vi dico se riuscivo ad arrivare in finale: una mini me, madida di sudore, con gli occhi di tuttə puntati su di me e lə miə avversariə, che fissava con astio quella vecchia sedia rotta e sgangherata (grazie scuola italiana per mettere a disposizione una seduta ergonomicamente perfetta, non ti dovevi scomodare). E così, sulle note di qualche canzone pop italiana dei primi anni 2000, il mio sedere finiva inesorabilmente e mestamente per terra, battuto non tanto dalla stazza più ingombrante del bambino di fronte a me, quanto dalla mia inattitudine a quella vita. Davvero dovevo togliere qualcosa a qualcuno per vincere? E poi, alla fine dei conti, cosa stava vincendo?

Dimagrisci!

E ora, facciamo un salto in avanti di circa vent’anni e arriviamo al 2023. Ad aprile, dopo un viaggio in California, sono tornata a casa mia, a Bologna. Nel giro di tre giorni, tre persone diverse mi hanno detto che ero dimagrita. Evidentemente le Americhe non mi avevano dato quanto promesso: dove erano finiti i grassi della mia cheesecake Oreo triplo strato? Dove li avevo messi i carboidrati del mio hamburger condito con otto salse, quattro pomodori e venticinque fette di cheddar? Dove avevo nascosto i venti litri di olio dei gamberetti fritti imbevuti nella salsa piccante con impanatura alla farina di cocco? Forse li avevo persi sull’aereo del ritorno. E le persone attorno a me non si sono risparmiate nel farmelo notare. “Sei dimagrita, stai bene”. Ma io esattamente cosa avrei dovuto rispondere? Il mio cervello femminista è andato in cortocircuito. Da una parte era stato bello, per un momento, avere l’approvazione generale per il mio corpo – nonostante questo poi abbia avuto una conseguenza negativa di cui magari sprloquieremo in un futuro articolo. Insomma, un motivo per essere gentile da brava bimba e ringraziare. Eppure, dall’altro lato, sentivo che non era un complimento e non avrei dovuto rispondere grazie. Il mio responso finale? Un sorriso abbozzato e una giustificazione “Sto facendo palestra…”.

Copriti!

E ora, arriviamo all’estate di quest’anno. “Elena, si vede tutto, copriti, che ti vedono!”. Queste parole giungono glaciali a raffreddare uno dei tanti, ennesimi, pomeriggi afosi di questo mese. Mi trovo nella mia vecchia camera nell’appartamento dei miei genitori, al quarto piano, circondato da altre palazzine, in una città della Campania, dove torno quando la vita bolognese mi sembra troppo indie anche per i miei gusti. L’improvviso senso di vergogna ha pervaso tutto il mio corpo: non solo mi ero alzata il vestito che usavo per casa fino alle mutande, ma avevo anche l’assorbente esterno in bella vista, che usciva leggermente con le sue ali bianche in contrasto con il blu degli slip. Insomma: una vera catastrofe pubblica, uno scempio, un’eresia. Eppure, nella mia testa continuava a rimbombarmi una domanda. Ma con 173 gradi all’ombra, un’umidità che ti entra nelle vene e ti fa sudare pure l’anima, il mondo che sta praticamente prendendo fuoco, la mia preoccupazione deve essere la fragile sanità mentale del mio vicino che verrà irrimediabilmente stravolta dalle mie chiappe al vento? Effettivamente, i titoli sul giornale li vedevo già. Shock in un quartiere salernitano, parla il vicino traumatizzato: non pensavo che le donne avessero il culo.

Depilati!

Arrivando all’estate, è impossibile non parlare di loro: i temibili, inestinguibili, instrappabili peli. Per anni, ci ho litigato strenuamente. Anche se avevo un millimetro di ricrescita impercettibile all’occhio umano, il mare mi era negato. Sia mai che mi dimenticavo degli obblighi sociali di essere desiderabile e in ordine anche mentre sguazzavo tra le onde. Così, rinunciavo alla spiaggia, rinunciavo a momenti di socialità, rinunciavo al divertimento per spinzettarmi a casa. Ora, dopo anni di lavoro – costante e continuo, di cui non sempre è facile portare i risultati – tento di pensare al fatto che i peli sono solo peli. Così, prendo la borsa, prendo l’asciugamano, prendo il costume e prendo i miei peli e me ne vado al mare. Non senza premesse per chi mi accompagna: “Ho i peli, non dirmi niente che qua la vita già è difficile”. D’altronde, decostruire quello che mi hanno inculcato per vent’anni non è facile. Ogni tanto, noto gli sguardi giudicanti, divertiti o critici delə altrə bagnantə. E se all’inizio la mia prima reazione istintiva è coprire le gambe, toglierle dal lettino per non metterle in mostra o mettermi seduta per nasconderle, subito dopo penso: ” Ma a me, esattamente, cosa me ne frega? Beccatevi ‘ste gambe pelose, con la cellulite e le smagliature”.

Il gioco della sedia

Bene, dopo l’elenco di questi episodi che possono suonare familiari o meno a molte di noi, è il momento di tirare le somme.

Sin da piccole, ci hanno insegnato a non occupare spazio, se non quello strettamente necessario per farsi vedere dagli uomini. Non mangiare troppo ma nemmeno troppo poco, non coprire troppo il tuo corpo ma non metterlo nemmeno troppo in mostra, non essere troppo truccata e addobbata ma non essere nemmeno sciatta. Altrimenti, agli altri non piace. E così mi hanno insegnato ad attendere sempre il giudizio altrui e a non disattenderlo. Come un gladiatore nell’arena in mezzo ad altre donne, dovevo elemosinare il pollice alzato dell’imperatore Maschio – o se vogliamo estendere il concetto, dell’imperatore Patriarcato. E sicuramente non potevo questionarlo: non potevo far notare quanto fosse opprimente e soffocante quel giudizio continuo a cui ero sottoposta. Anzi, dovevo ringraziare che quel pollice determinasse il valore di me e del mio corpo, altrimenti non avrei avuto alcun senso. In più, non era solo un giudizio in termini assoluti, ma anche in relazione con altre donne. Un continuo, estenuante e sanguinoso gioco della sedia: vinci il trono dell’approvazione maschile, criticando, tradendo e distinguendoti dalle altre, e finalmente potrai godere dei privilegi che non ti spettano per nascita ma per concessione.

Scomodare

Ora, però, non voglio più giocare. E non voglio semplicemente andarmene: voglio prendere quella sedia e distruggerla. Continuare a giocare, infatti, significherebbe ringraziare quando mi dicono che sono dimagrita, coprirmi il sedere per evitare il trauma al vicino, depilarmi per non scomodare gli altri bagnanti con la vista del mio obrobrioso corpo peloso. Ma oltre a fregarsene dei giudizi altrui, è arrivato il momento di far notare l’inadeguatezza di questi comportamenti. Voglio scomodare: voglio dire che se mi dicono che sono dimagrita è sbagliato, voglio mostrare il culo se ho caldo, voglio andare al mare con i peli. L’essere accondiscendenti non è più possibile, specialmente in questo periodo storico dove ogni cosa viene sottoposta a un giudizio di valore. Per esempio, anche se mostriamo i peli non mancherà lo sconosciuto di turno che in DM ci manderà un messaggio dicendo quanto vorrebbe scoparci perchè i peli lo eccitano. E via di nuovo il via un altro turno del gioco della sedia.

Quindi, piuttosto che desiderarla con tutte noi stesse, iniziamo a toglierla a chi ci si è spaparanzato. Ma non per sedercisi noi, anzi. Rispondiamo, facciamo notare, ostiniamoci in direzione contraria: distruggiamo quella maledetta sedia.

Picture of Elena Morrone

Elena Morrone

Una risposta

  1. Questo post è una boccata d’aria. È un insieme di quei pensieri che tuttə pensiamo ma che abbiamo paura di esprimere perché “si è sempre fatto così”. E sono così stanca che quando leggo e sento parole come queste, sento di non essere sola e mi guardo intorno pensando di essere circondata da persone che hanno i miei stessi pensieri e, a poco a poco, non mi sento più sola.
    Grazie

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