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Enzina

Negli afosi pomeriggi estivi Luisa era costretta a letto dai suoi genitori perché dicevano che il caldo stanca e in quelle ore era meglio riposare. Lei però se ne stava distesa sul letto con gli occhi spalancati a fissare il soffitto e a fantasticare in attesa delle 17, quando finalmente poteva fingere di svegliarsi per correre a giocare nel cortile del palazzo insieme agli altri bambini. C’erano Simona, Arcangela, Riccardo e Savio. Loro cinque erano più grandi e avevano il permesso di scorrazzare in bicicletta per tutto il pomeriggio, giocare a rincorrersi, a nascondino, a palla avvelenata, finché non ne potevano più. Gli altri bambini più piccoli piagnucolanti li osservavano da sopra i balconi, desiderosi di unirsi a quel gran baccano che si ripeteva quasi ogni giorno per tre mesi l’anno. Per quanto molti inquilini si dicessero infastiditi, in realtà ai più non dispiacevano davvero quegli schiamazzi che sembravano rianimare quel grande condominio a sei piani lontano dal centro cittadino di Foggia.

Luisa risaliva a casa la sera sempre stremata, ma euforica e dopo cena spesso si metteva a progettare dei giochi nuovi per le giornate successive. Un giovedì pomeriggio puntuale alle 17 stava correndo giù per le scale con in mano il nuovo progetto di un gioco a squadre da mostrare ai suoi amici, quando per la foga non vide la figura minuta davanti a sé e finì per scontrarsi con la vecchia signora Enzina. La bambina si scusò per averla colpita, l’aiutò a rialzarsi. Raccolse anche le sue buste della spesa e lei la ringraziò per nulla arrabbiata. Luisa scese altri due piani quando improvvisamente si rese conto di non avere più il suo progetto. Risalì affannosamente al terzo piano, ma sul pavimento non c’era nulla. Mentre era in preda alla disperazione, Luisa vide la signora Enzina uscire dal suo appartamento con in mano un grande foglio bianco tutto colorato: “Oh, eccoti qua…proprio te stavo venendo a cercare. Credo di non aver acquistato nulla di simile al supermercato” le disse sorridendo e porgendole il suo progetto. “Grazie mille signora” le rispose Luisa rassicurata” deve essermi caduto quando ci siamo scontrate”. “Ma figurati cara, tu però promettimi che un giorno di questi vieni qui da me a berti un bel tè freddo, così mi mostri anche i tuoi disegni…questo qui è molto bello”. “Disegni? Oh no…questo non è un semplice disegno, è un progetto di un nuovo gioco che ho messo appunto ieri sera!” la corresse Luisa tutta fiera. “Meglio ancora allora, quando vieni qui, se vorrai mi mostrerai quelli…sono sicura che questo piacerà molto ai tuoi amici”. Luisa assentì, tutta felice per i complimenti che Enzina le aveva fatto e la salutò.

Una sera Luisa era troppo stanca per salire a piedi quattro piani di scale e decise di aspettare l’ascensore. Ad attenderlo c’erano anche la signora Anna del quinto piano, nonna del suo amico Savio e il signor Raffaele del sesto, padre di Riccardo, che parlottavano. “Sì, sono d’accordo con te…io inizialmente pensavo fosse vedova, ma ci sarà di certo un motivo se non è mai stata sposata” stava dicendo la signora Anna con disappunto. “Probabilmente nessuno avrà voluto prenderla in moglie” rispondeva Raffaele.  “Quello è sicuro, dubito francamente che sia stata una sua scelta”. Nel frattempo l’ascensore arrivò a piano terra ed entrarono tutti e tre. “Avrà qualcosa che non va” ipotizzava la signora Anna “probabilmente non sa cucinare o forse è poco pulita”.  “Nessuno qui ha mai messo piede nel suo appartamento che io sappia, ma posso immaginare il perché” Raffaele fece una faccia disgustata che Luisa notò dallo specchio. “Franca mi ha detto di averla sentita più volte uscire la sera, anche dopo le 21”. Luisa ricordava che la signora Franca abitasse al terzo piano, doveva stare parlando di qualcuno che viveva in uno di quegli appartamenti e da come ne parlavano pensò che dovesse essere proprio una persona terribile. “E non ha paura?” domandò Raffaele scandalizzato.” È lei che bisogna temere, te lo dico io…è chiaramente un cattivo esempio per i bambini, infatti quando mi capita…oh ciao Luisa, buona cena e salutami mamma!”. L’ascensore era arrivato al quarto piano, ma mentre usciva, Luisa ascoltò ancora la signora Anna che riprendeva il discorso. “Dicevo, quando mi capita di incontrarla la saluto sempre con un Salve Enzina e basta, preferisco evitare qualsiasi tipo di conversazione”. Luisa rimase interdetta mentre le porte dell’ascensore si richiudevano e il vano continuava a salire. Aveva sentito bene? I due stavano parlando proprio della signora Enzina, la stessa che con lei era stata così gentile qualche giorno prima. Ma loro dovevano avere i loro motivi per parlarne così, erano più grandi e sapevano molte più cose di lei. Ripensò al tono disgustato con cui Anna aveva affermato che Enzina non fosse mai stata sposata. Effettivamente l’aveva vista sempre da sola e la solitudine non era una cosa molto apprezzata. In più doveva esserci una ragione se nessuno la voleva. Iniziò a sentirsi estremamente inquieta e così fece quello che faceva sempre quando era spaventata.

“Mamma devo chiederti una cosa”. “Prima devi andarti a fare una doccia, sei tutta sudata, Luisa”, la rintuzzò sua madre, dirigendosi verso il bagno. “Sì ma ti prego, prima devo farti una domanda, è importante e giuro che sarò velocissima”. “Puoi farmela mentre ti spogli e io riscaldo l’acqua”.” Che cosa sai della signora Enzina?” domandò Luisa mentre si levava i pantaloncini. “L’inquilina del terzo piano, dici? Perché ti interessa?” rise sua madre. “Beh, la vedo spesso così sola e mi domandavo come mai…”. “La vedi sola perché è sola, Luisa, non ha marito né figli. È per questo che tutti la chiamano Enzina e non Enza, o direttamente signorina”. “Non perché è bassa?”. “No, semplicemente perché…diciamo che non è una donna completamente cresciuta, ecco”. “E perché non è sposata?”. “Credo non lo sappia nessuno, sembra una persona riservata”. “Tu ti sei mai fermata a parlare con lei?” “No, non vedo cosa dovrei dirle, Luisa…”. “Con la signora Anna parli spesso e anche con Marisa, con Nicola, con Giuseppe”. “Sì, ma è diverso…”. “È una cosa brutta?”. “Che cosa?”.  “Il fatto che non sia sposata, dico, è una cosa cattiva?”. “No, non saprei Luisa, so solo che in effetti è molto strano che una donna della sua età non lo sia mai stata. Ora comunque basta, la domanda doveva essere una e me ne hai fatte mille, entra in doccia”. Luisa pensò di essersi cacciata proprio in un bel guaio. Omise a sua madre di avere ricevuto un invito proprio in casa di quell’ inquilina, anche perché ora non aveva più nessuna intenzione di andarci. Bastava non passare dal terzo piano per evitare di incontrarla. Perciò decise che avrebbe preso sempre l’ascensore per stare tranquilla.

Per giorni filò tutto liscio. Come aveva previsto, prendendo l’ascensore Luisa non incrociò nemmeno una volta la signora Enzina. Il progetto del nuovo gioco ai suoi amici era piaciuto molto e dopo aver giocato mille e mille volte, tutti però avevano iniziato ad averne un po’ noia. Così Luisa si era messa sotto e ne aveva realizzati altri. Anche la sua amica Simona aveva voluto aiutarla, perché aveva una grande passione per il disegno. Un pomeriggio erano entrambe al piano terra e avevano chiamato l’ascensore. Con in mano tutti i loro progetti, volevano spostarsi a casa di Luisa per colorarne alcuni e realizzarne insieme altri. Sentirono però il portone d’ingresso del palazzo che si apriva e fece capolino la signora Enzina sempre piena di buste. A Luisa venne un colpo. Lei le salutò tutta contenta e si mise lì in attesa dell’ascensore con loro. “Oh ciao Simona, ma anche tu hai tutti questi bei disegni con te. Sai, un po’ di tempo fa ho invitato Luisa a casa mia per un tè freddo, perché non vieni anche tu e salite adesso da me? Così mi fate vedere anche tutti i vostri bei progetti” propose Enzina a brucia pelo. Luisa sussultò, stava pensando a che scusa trovare e a come fermare la sua amica dal pericolo. Ma Simona, sempre tanto disponibile, accettò subito:“Alcuni dobbiamo finire di colorarli però, lei ha i colori da prestarci?”.“Oh certo, ne ho moltissimi”. “Allora va bene per noi”. Luisa non disse nulla, si limitò ad annuire e sorridere, ma dentro era preoccupatissima.

Al terzo piano, mentre Enzina apriva la porta di casa, Luisa tirò il braccio dell’amica per cercare di avvisarla e svignarsela all’ultimo, ma quella non capì, si divincolò per entrare nell’appartamento e lei fu costretta a seguirla per non lasciarla sola. L’appartamento della signora Enzina era molto piccolo, ma luminoso. C’era un’unica stanza un po’ più grande delle altre che fungeva sia da cucina che da salotto. A destra si intravedeva dalla porta aperta la stanza da letto con un letto matrimoniale e a sinistra il bagno. “Sedetevi, sedetevi pure” disse Enzina spostando le sedie per far spazio alle bambine e appoggiando le buste sul tavolo. “Che bella casa che ha, signora Enzina” le disse Simona, guardandosi intorno. In effetti a Luisa parve strano che la casa fosse pulita e luminosa e tutto sommato in ordine, non era per niente come se l’era immaginata negli ultimi giorni. “Ecco a voi due bei bicchieri di tè freddo al limone” disse la signora Enzina, lasciandoli sul tavolo. “Ho anche del gelato confezionato se volete. Avrei voluto offrirvi un bel dolce fatto in casa, ma non sono molto brava in cucina, soprattutto i dolci li trovo un po’ troppo elaborati per me”. Ecco, pensò Luisa, non sa cucinare, proprio come dicevano. “Non berlo, è avvelenato” sussurrò a Simona. “Ma che dici Lu” rise l’amica dissetandosi con la bevanda “io comunque prendo un gelato alla vaniglia, se posso” disse rivolgendosi a Enzina. “Ma certo che puoi, ecco a te, e per te Luisa?”. “Io no grazie, sono…sono allergica al gelato” si inventò di sana pianta. Enzina rise e non aggiunse più nulla. Si sedette anche lei accanto a loro e chiese di vedere i disegni dei progetti. Simona li mise tutti in ordine in bella vista sul tavolo e la signora Enzina prese a guardarli. “Sono molto realistici, devo dire, soprattutto nei tratti, per delle bambine della vostra età.” “Sì, noi vogliamo essere precise, soprattutto quando coloriamo cerchiamo sempre di stare dentro ai contorni” spiegò Simona. “E usate solo i colori a matita? “. “Sì e qualche volta quelli a spirito” “Avete mai provato gli acquerelli?” chiese Enzina. “Solo a scuola ogni tanto, quando ce li dà la maestra. Mia mamma dice che macchiano di più e mi sporco tutta, quindi a casa non li uso”.“Ti piace però usarli a scuola?”. “Sì, è un sacco divertente”. “E a te Luisa?”. Lei aveva continuato, sospettosa, a rimanere in silenzio. “Sì, mi piacciono, ma nemmeno io li uso tanto. A me piace disegnare, ma mi piace più inventare i giochi” bofonchiò imbronciata. “Allora penso di avere proprio quello che fa per voi”.

Enzina si alzò e tirò fuori qualcosa dall’armadio della stanza da letto. Tornò con un sacco di materiale. Oltre ai colori che prima aveva promesso a Simona, una tela pulita, un cavalletto, un set di acquerelli, uno di colori acrilici e una confezione di un qualche materiale strano che sembrava assomigliare a un panetto del burro un po’ più grande. Le due bambine restarono meravigliate. “Perché lei ha tutte queste cose?” chiese Luisa. “Perché anche io sono appassionata d’arte come voi più o meno da sempre. Le ho comprate perché frequento un corso di pittura serale due volte a settimana”. “Ecco dove va la sera tardi” pensò Luisa ad alta voce. La signorina Enzina l’aveva sentita. “Lo so perché l’ho vista spesso uscire di sera quando ceno sul balcone” aggiunse imbarazzata per giustificarsi. “Ah sì, ma non sempre, a volte esco solo con le mie amiche”. Luisa pensò che fosse strano che una donna della sua età avesse delle amiche, però doveva anche essere una cosa bella, lei le sue non avrebbe mai voluto perderle, nemmeno da sposata e nemmeno da anziana. “Lì comunque ci fanno sperimentare un sacco di cose, io ne seguo uno per persone grandi assieme alle mie amiche, ma ci sono altri corsi anche per quelli della vostra età…ecco” disse rivolgendosi a Simona e montando la tela sopra il cavalletto “Se ti va puoi usare i miei colori acrilici per dipingere quello che vuoi e qui non devi assolutamente avere paura di sporcarti”. Simona accettò entusiasta. “Invece per te Luisa, ho pensato che potrebbe piacerti molto il Das”. “È quella cosa tipo plastilina?” si illuminò la bambina. “Sì brava, ma una volta che hai plasmato le figure che vuoi, se le lasci esiccare un po’ si solidificano e durano un sacco di tempo”. “La maestra dice che è impegnativo e che noi a scuola potremo utilizzarlo solo quando avanzerà tempo nelle lezioni di storia sui Sumeri”. “Ma con il tuo Das puoi farci quello che vuoi quando vuoi e creare tutte le figure per i tuoi progetti in maniera tridimensionale”. “È davvero una bella idea, non ci avevo pensato” ammise Luisa sorpresa. Le bambine provarono a mettersi all’opera, ma Simona protestò che le sembrava difficile disegnare delle figure precise sulla tela e rimanere dentro i contorni. Enzina allora le spiegò che non c’era nulla di male ad uscire fuori dal margine o a non disegnarlo affatto, perché anche se a scuola ti insegnano a disegnare in una certa maniera, in realtà ci sono tanti modi diversi che si possono sperimentare. “Possiamo vedere qualche suo dipinto allora?” le chiese allora Luisa. Enzina accettò e mostrò loro una tela che raffigurava con colori sfumati una donna coi piedi fermi a terra, tutta colorata di nero che teneva per mano un uomo, dipinto di un rosa ancor più sfumato, sospeso a metà per aria. Sotto la firma dell’artista: Enza. “Mi piace.  Anche se non è disegnato in maniera precisa, è un bel disegno, ma mi sembra un po’… triste” commentò Simona. “Chi è quell’uomo?” domandò Luisa curiosa. “Lui era mio marito. Ci siamo sposati poco prima che lui partisse in guerra. Purtroppo, come molti, non è mai tornato”. “Mi dispiace molto” disse Simona. “Allora lei è stata sposata. Perché non so se lo sa, ma tutti nel palazzo pensano che lei non lo sia mai stata e la chiamano Enzina anche per questo” aggiunse Luisa pensando di fare una rivelazione scioccante. “Sì che lo so” sorrise Enzina “ma sono io che glielo lascio credere”. “E perché?”. “Perché mi diverte”. Luisa ci pensò un attimo su. “Posso chiamarla Enza da oggi?” chiese infine. “Certo”.

Quel giorno Luisa e Simona non scesero più a giocare con gli altri e lo trascorsero lì a sporcarsi le mani. Luisa si sentiva sollevata. Al contrario di quanto aveva pensato, la signorina le piaceva moltissimo e molto spesso nei giorni successivi con Simona tornò da lei per partecipare a quel laboratorio artistico improvvisato. Raccontarono anche agli altri bambini cosa avevano vissuto, ma non fu facile convincere tutti ad unirsi a loro. Alcuni erano molto reticenti per quello che avevano sentito dire dai loro genitori su di lei. A Luisa invece sembrava non importare più di quei commenti, ma per un po’ tenne nascosti ai suoi genitori quegli incontri segreti, pensando che non erano ancora pronti per capire. Un giorno, però, mentre era con sua mamma a cena prima di andare a letto affermò: “Comunque non credo che la signora Enza sia riservata, siete voi che non le rivolgete la parola”. E corse via in stanza, lasciando sua madre perplessa.

Una sera sul finire dell’estate, Luisa si trovò nuovamente a prendere l’ascensore con la signora Anna e il signor Raffaele, che parlavano della nuova coppia di neosposi che aveva traslocato una settimana prima in un appartamento a piano terra con il loro bambino. “Ma l’hai vista lei?” commentava la signora Anna. “Sì, è così giovane e ha già un figlio”.  “Già. È davvero una bella ragazza, ma si veste in maniera inappropriata. Anche se giovane, ormai è una mamma”. Di nuovo Luisa salì con loro in ascensore. “Sono d’accordo” le fece eco Raffaele che aggiunse “ma ho sentito dire certe cose su di lei, quelle così non sono esattamente fedeli ai loro mariti…intendi cosa voglio dire?”. “Sì sì intendo benissimo”. Luisa sorrise e, una volta arrivata al quarto piano, uscì dall’ascensore divertita e senza salutare.

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