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Oltre i confini dell’amore romantico: come (ri)narrare le relazioni

Fin dall’infanzia ci viene tramandata una certa narrazione dell’amore e delle relazioni romantiche, certe credenze che diventano delle certezze.
Cresciamo con le fiabe e i cartoni che ci raccontano di chi salva e di chi è salvato, di un vissero per sempre felici e contenti. E poi ritroviamo gli stessi scenari da più grandi, nei film, nelle serie tv, nei libri, nelle canzoni.
Siamo così immersi e circondati in questi discorsi da interiorizzarli e farli nostri, come se fossero stati calati dall’alto e non li avessimo, invece, generati e mantenuti noi stessi nel tempo, come se non potessero esserci narrazioni alternative a quelle culturalmente dominanti.

Noi, invece, delle narrazioni alternative le abbiamo costruite.
Attraverso un ciclo di incontri dedicato al tema delle relazioni sentimentali, io e la mia collega psicologa Emanuela D’Aversa abbiamo provato, insieme ai partecipanti, ad indossare altre lenti e ad esplorare le implicazioni e le criticità di alcuni luoghi comuni che quotidianamente utilizziamo quando pensiamo alle relazioni, per generare insieme altre possibilità discorsive.

Dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni che ci hanno profondamente scosse, riconosciamo ancora di più l’importanza di parlare e di fare sensibilizzazione rispetto a queste tematiche, e nel nostro piccolo riteniamo importante farlo anche attraverso questo articolo.

Il mito dell’onnipotenza 💪🏼

Quante volte avete sentito le frasi “All you need is love”, “l’amore rende tutto possibile”, “l’importante è che ci si ami”?

L’idea alla base di questo luogo comune è che l’amore possa fare miracoli, addirittura possa cambiare le persone, come se fosse un superpotere o qualcosa di magico. Così facendo, l’amore smette di essere un sentimento soggettivo che ognuno di noi sperimenta attivamente a modo proprio, ma diventa qualcosa di uguale per tuttɜ, una sorta di entità dotata di vita propria che prescinde la nostra volontà e intenzione, di cui ci limitiamo a subire passivamente gli effetti.

Questa narrazione priva le persone della loro agency, ossia della capacità di assumere un ruolo attivo e di intervenire attivamente sulla realtà, un fenomeno ben evidente nella frase “l’amore rende tutto possibile” dove è appunto l’amore il soggetto attivo che rende quel tutto possibile, non le persone che sono in relazione, esse non vengono neanche contemplate nella frase.

Oltre a questo, stare in relazione raccontandosi che l’amore rende tutto possibile, invisibilizza tutte le altre risorse che abbiamo a disposizione e che potremmo utilizzare per affrontare attivamente ciò che accade nella relazione. Questo perché sicuramente l’amore è un aspetto che ha un suo spazio e una sua importanza nello stare in relazione, ma accanto a questo ci sono altri aspetti ugualmente fondamentali che permettono non solo di stare in relazione ma di stare insieme in relazione, come il rispetto, il consenso, la reciprocità, la comunicazione.

Una narrazione romanticizzata dell’amore, può portare a dare minore importanza ad altri aspetti all’interno della relazione e a legittimare determinate azioni proprio in nome dell’amore. Mi riferisco a tutte le forme di violenza fisica e psicologica che spesso all’interno di una relazione vengono minimizzate o addirittura vengono lette come una dimostrazione d’affetto, pensiamo alla frase:

“mi ha dato uno schiaffo, ma è successo solo una volta, avevamo discusso, in realtà ci amiamo molto e l’importante è questo”.

Anche tutti i titoli di giornale che leggiamo rispetto ai femminicidi, “l’amava troppo”, “l’ha fatto per amore”, hanno spesso questa lente rosa e romanticizzata di un’azione che è violenza a tutti gli effetti e che non ha nulla in comune con l’amore.

Le parole non sono solo parole, il linguaggio è lo strumento attraverso cui costruiamo la realtà. Le frasi iniziali possono sembrarci in apparenza banali e innocue, ma costruiscono invece una certa realtà, e utilizzandole stiamo alimentando una certa realtà, con certi significati, con un certo modo di vedere le cose e soprattutto con un certo modo di entrare in relazione con le altre persone.

Il mito dell’anima gemella 🍎

La narrazione di avere un’anima gemella da trovare o una metà da ricomporre è molto radicata nella nostra cultura, e crescere circondati da frasi come “sei la mia metà” o “sei la mia anima gemella” può avere diversi risvolti.

In primis, parlare di una “metà” o di “un’anima gemella” fa passare il messaggio che la relazione sia fatta solo per e da due persone, e si cresce pensando che questa sia l’unica forma, l’unica possibilità.

Ma crescere pensando di avere anche una metà da ricomporre, può portare le persone a sperimentare un senso di insoddisfazione, di insicurezza, di sentirsi incomplete e vuote senza una persona accanto.
Ancor di più, questa versione genera una retorica negativa anche rispetto allo status di single, per cui le persone che sono single o che scelgono di non avere una relazione non si sentono legittimate a sperimentare questa condizione e a provare la sensazione di stare bene da sole, perché spesso ciò che si sentono dire è: “non hai ancora trovato la persona giusta”.
Così l’incubo delle festività diventano i grandi pranzi di famiglia dove ci vengono fatte quelle domande scomode come “ma la fidanzata/il fidanzato ce l’hai'” e queste non sono solo domande di circostanza, ma portano con sé una serie di impliciti come l’inaccettabilità che non si desideri nessuno accanto.

In realtà, lo stare in relazione non dovrebbe rappresentare il passaggio di status dall’essere persone incomplete a complete, da persone imperfette a perfette, non dovrebbe farci sentire meno interɜ, vuotɜ o solɜ.
Ognuno è già completo di per sé, e l’essere in relazione dovrebbe essere un valore aggiunto a ciò che la persona già possiede.

Il mito della fusione 🔥

Tra le persone a me più vicine che si trovano in una relazione, più volte mi è capitato di ascoltare frasi come “io e te siamo una cosa sola” e di osservare una sorta di unione simbiotica.

Forse perché l’idea di fondo è proprio che la persona con cui siamo in relazione debba diventare il nostro centro, il nostro tutto. E ogni cosa inizia ad essere fatta insieme, si innesca l’idea che una cosa fatta con qualcun altro darà meno valore alla stessa cosa fatta insieme, dimenticando che ogni esperienza è unica proprio perché la si fa con persone diverse. Tutto deve essere la “prima volta insieme”, qualcosa di totalizzante, e se non lo è allora assume il significato di una mancanza di rispetto e di interesse per l’altra persona, e non invece di una pluralità di aspetti identitari che assumono una forma diversa a seconda dei contesti.

La nostra identità è fatta da milioni di sfaccettature, che escono fuori in momenti diversi, con persone diverse, e non vuol dire che una parte di noi sia più vera di un’altra, ma sono tutte ugualmente valide perché rispondono a necessità e bisogni identitari differenti. Ed è normalissimo avere dei momenti in cui si sente il bisogno di stare per conto proprio o vedere persone diverse o fare cose diverse, ciò non toglie valore a quello che si vive nella relazione, non gli dà meno importanza, ma significa dare valore ai propri spazi e coltivare la propria individualità anche nella relazione.

In una relazione si possono avere anche interessi in comune, ma ricordiamoci che siamo sempre due entità separate dotate di un proprio sentire, e questo nostro sentire possiamo condividerlo con l’altro ma non fonderlo.

Il mito dell’immutabilità dei sentimenti 🔒

Un altro luogo comune sulle relazioni riguarda l’immutabilità dei sentimenti, tanto che tutte le fiabe che ci hanno letto nella nostra infanzia finivano con un “e vissero per sempre felici e contenti”. Poi c’è stato un film che ha segnato l’adolescenza di quasi tutte le persone appartenenti alla prima generazione Z, ossia “Tre metri sopra il cielo” e il suo sequel “Ho voglia di te“, dove l’emblema dell’immutabilità dell’amore è rappresentato da quel lucchetto che i protagonisti attaccano a Ponte Milvio. Da qui, quel gesto è diventato virale e ad oggi su una qualsiasi ringhiera si può notare suggellato l’amore eterno di un’infinità di persone attraverso dei lucchetti su cui si incidono le proprie iniziali.
Un gesto molto romantico se non fosse per tutti gli impliciti che porta con sé.

Raccontare il sentimento dell’amore come qualcosa che non cambierà mai e attribuirgli dei giudizi di valore misurandone la durata, vuol dire trasformare simbolicamente quel lucchetto in una gabbia senza via d’uscita.

Questa narrazione, infatti, non tiene conto del fatto che le persone nel corso della propria vita possono cambiare idee, opinioni, sentimenti, bisogni, desideri, e magari ciò che aveva un determinato significato in un momento ne assume un atro nel tempo. E pensare che i sentimenti non cambieranno mai significa negare alle persone in relazione la possibilità di evolvere e di avere altre possibilità d’essere.

Inoltre, accade anche che nel momento in cui ci si rende conto che qualcosa in noi sta cambiando spesso ci si sente in colpa perché, ancora una volta, attraverso questa narrazione che abbiamo interiorizzato non ci sentiamo legittimati a cambiare e percepiamo di aver fatto qualcosa di sbagliato, di essere delle “cattive” persone, perché abbiamo deluso e illuso l’altra persona che quel sentimento sarebbe stato per sempre.

Ma l’idea di quel “per sempre” è qualcosa di cui si è discusso insieme e su cui ci si è confrontati o è qualcosa che si è dato per scontato perché si è cresciuti con quest’idea su cui non ci si è mai neanche interrogati? Molto spesso la risposta è la seconda.

Lo stare in relazione può mantenersi nel tempo se le persone sono in grado di comunicare e di trovare un punto d’incontro tra i propri bisogni e desideri, reinventandosi e contaminandosi a vicenda, trovando il proprio spazio nello stare insieme, non annullandosi in nome dell’immutabilità di un sentimento che per sua natura non è immutabile.

Il mito della predestinazione 🔮

Quante volte abbiamo sentito frasi come “eravamo destinatɜ a stare insieme”, “ti aspetterò per sempre perché siamo fattɜ per stare insieme” oppure “sei l’unica persona per me”?

Ancora una volta il sentimento dell’amore assume le sembianze di un’entità al di sopra di noi e della nostra volontà, che sceglie quella che sarà la persona a noi destinata e a noi spetta solo trovarla. E siamo portati a vedere la predestinazione nelle stelle, nell’oroscopo, in una semplice coincidenza che ai nostri occhi assume un significato mistico.

Ma crescere pensando di avere una persona (e una sola) a cui siamo destinati, può portarci a sentirci infelici finché non l’avremo trovata, e a cercarla con insistenza e ossessione, a puntare testardamente tutto su una persona e ad aspettarla per anni, quando poi magari non ci renderà neanche felici ma ce ne convinceremo solo perché nel nostro immaginario era la prescelta.
Dimentichiamo che esistono 7 miliardi di persone al mondo e difficilmente ce ne sarà una e soltanto una con cui potremo trovarci bene a stare in relazione.

Il mito degli opposti che si attraggono 🧲

Chi di voi ha avuto modo di vedere la storica serie tv “How I met your mother” ricorderà la teoria delle olive di Marshall e Lili: se a te non piacciono le olive e a me sì, allora siamo la coppia perfetta.

L’implicito è che due persone siano come due calamite, con forza opposta, che si attraggono in virtù delle loro (apparenti) differenze. Ma chi ha proseguito la serie saprà che la teoria delle olive per Marshall e Lili ha fallito: entrambi hanno poi iniziato a mangiare le olive, ricordandosi che erano altri i presupposti su cui la loro relazione si era costruita e non erano quelle differenze a tenerla in vita.

Di nuovo, questa teoria non è una certezza ma una credenza.
Infatti, è possibile che le cose cambino all’interno del rapporto, che le persone evolvano, cambino i loro desideri e i loro bisogni. La relazione è una costante ri-negoziazione e non una condizione stabilita una volta per sempre, e soprattutto quelle che sono differenze iniziali non è detto che lo saranno per sempre.
Perché stare insieme è una scelta continua, fatta di condivisone e occasioni di crescita.

Il mito del sesso risolutore 🛠️

In una società sessuocentrica – e sessuofobica se si tratta di educazione – come la nostra dove non mancano rimandi espliciti al sesso in svariate pubblicità, non ci stupisce che si siano generate narrazioni del tipo “il sesso risolve tutto” oppure “andiamo d’accordo sotto le coperte”. Queste però non tengono conto del fatto che avere una buona intesa intima non equivale automaticamente alla risoluzione di “conflitti” che possono esserci in un rapporto.

La sessualità risente di una serie id variabili che non hanno a che fare solo con il legame, ma anche con altri aspetti personali, corporei, culturali: per questo il sesso non può essere considerato l’unica cartina tornasole per la relazione.

Sebbene la sessualità possa essere un aspetto appagante per la relazione, non è però l’unico. Riflettiamo, invece, sul ruolo che la sessualità ha nella nostra relazione. In che modo la sessualità si inserisce nel rapporto che abbiamo? Quali sono i significati che assume per e nella nostra relazione?

Il mito del partner che salva 🩹

In che modo configurare le persone come un “cerotto” può diventare critico? e in che modo pensare di poter guarire o salvare una persona può essere critico?

Ce lo spiega Mara Sattei con un testo che ha portato sul palco di Sanremo lo scorso anno:

“E non importa se fa male, a piedi scalzi sulla neve, non ho paura di cadere.
Pensavo di poter guarire il tuo cuore da tutte le voci che senti, però il risultato non cambia nemmeno se cambi gli addendi, pensavo di poter usare la voce ma dentro di me ora la voce non c’è.”

Fare di tutto per una persona con l’idea di salvarla non è garanzia del fatto che la persona verrà salvata. E a che costo questo? A che prezzo “mi hai salvato la vita”? A che prezzo “io per te morirei”?

Proviamo a riflettere sui ruoli che abbiamo e che hanno le altre persone nella nostra vita. Non possiamo salvare o guarire le persone, ma con la nostra presenza e il nostro supporto possiamo essere un prezioso contributo per l’altra persona, per sostenerla nel suo “processo di guarigione” e nel suo prendersi cura delle proprie ferite.

Forse non è che “nessuno si salva da solo”, ma è il modo in cui noi utilizziamo i contributi e il supporto degli altri per guarire le nostre ferite. Non sono le persone ad essere un cerotto, semmai sono le persone che ci supportano e sostengono mentre noi mettiamo un cerotto sulle nostre ferite.

Il mito della gelosia come termometro dei sentimenti 🌡️

A quanti è capitato di sentire frasi come “se non sei gelosə non è vero amore” oppure “tu sei (solo) miə”?
E quante volte queste narrazioni vengono normalizzate attraverso programmi di intrattenimento come Uomini e Donne o Temptation Island che sono guardati da milioni di persone?

Amore e gelosia non dovrebbero stare nella stessa frase. Il mito che la gelosia equivalga al vero amore è nato probabilmente nel medioevo ed è lì che è giusto che rimanga.
Non è l’altra persona ad essere nostra, è quello che si costruisce tra due (o più) persone ad essere “nostro”.
Non è quella persona ad appartenerci, è quel pezzo d storia costruito insieme ad appartenerci, è quello che scegliamo di portare con noi, anche tra anni, ad essere nostro.

Quali altri modi per parlare delle relazioni? 🎲

Relazione come “campo di gioco“, in cui siamo tutti protagonisti nel prendere parte alla sua costruzione. Un campo di gioco in cui c’è spazio per i bisogni delle persone coinvolte, in cui possono essere contemplati degli imprevisti come occasione di crescita e di scoperta reciproca, in cui c’è una progettualità condivisa e azioni quotidiane messe in atto per coltivare e rendere possibile il rapporto, e in cui c’è una co-costruzione di confini condivisi.

Sono queste le parole chiave che hanno consentito di aprire le porte a visioni altre e a discorsi più ampi sulle relazioni sentimentali.

Speriamo con questo articolo di avervi offerto degli strumenti in più per poter parlare e pensare alle relazioni.

Con in contributo della psicologa Emanuela D’Aversa (@emanueladaversa_psicologa)
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Alessia Gelo

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