La frase che da il titolo al mio articolo è una citazione dell’attivista per i diritti delle donne, Susan B. Anthony. Penso che non ci sia frase migliore per descrivere i cortei e le manifestazioni messe in atto lo scorso 25 novembre, perché quando le donne (e anche alcuni uomini in questo caso) si riuniscono insieme, il fallimento è davvero impossibile.
Da Aosta a Palermo, da Milano a Caserta, passando per Padova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, l’Italia intera si è riunita nelle maggiori piazze italiane sotto un’unica voce e per un unico scopo. Sembra davvero che le donne italiane abbiano raggiunto il punto di rottura, che la goccia abbia davvero fatto traboccare il vaso. La goccia in questione è l’ennesimo, brutale femminicidio di una ragazza per mano dell’ex partner. Tra le donne e gli uomini dei cortei italiani, si leva alto il nome di Giulia Cecchettin, la cui morte ha scosso tutto il Paese. Il suo nome ha portato nelle piazze italiane migliaia di persone che hanno gridato per dare voce a chi, come lei, non ce l’ha più.
Anche noi di Viole di Marzo ci siamo mobilitate, per quanto possibile, partecipando alle manifestazioni più vicine a noi. Devo ringraziare Dominica Lucignano per le foto che mi ha concesso di usare per quest’articolo. Qui troverete principalmente fotografie della manifestazione romana, partita dal Circo Massimo e sempre patrocinata da “Non una di meno”. Tuttavia, le altre piazze di Italia, non sono state da meno.
A Milano, la manifestazione da 30 mila persone e intitolata “Il patriarcato uccide”, si è conclusa con un minuto di rumore con le chiavi, con gli applausi, con le urla, con i fischietti. Invece a Genova, hanno organizzato una corsa contro la violenza e l’Ospedale Galliera ha offerto visite ginecologiche e psicologiche gratuite, dalle 9 alle 14. A Napoli saltano all’occhio le scarpe e gli striscioni rossi in mezzo a Piazza del Plebiscito e a Bologna si pedala facendo tanto, tanto rumore.
Non c’è dubbio: i casi delle ultime donne uccise, specialmente Giulia Tramontano, Floriana Floris, e Giulia Cecchettin, hanno creato un’ulteriore spinta alla partecipazione a questi cortei. Tuttavia, i sentimenti dei partecipanti, soprattutto delle donne, non sono mai cambiati e ce n’è uno che accomuna tutt*: la rabbia. E’ vero, siamo stanche. Le donne sono stanche di avere paura, stanche di non essere ascoltate, di non essere credute, ma soprattutto siamo arrabbiate.
Arrabbiate con gli uomini, che ci credono ancora loro proprietà di cui disporre come preferiscono. Siamo arrabbiate con questo governo, che fa tante manifestazioni del suo cordoglio per le vittime, ma non crede che ci sia bisogno di una vera e propria educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole. Siamo arrabbiate con la Polizia di Stato, che continua a chiedere alle vittime di violenza se avevano bevuto o com’erano vestite. Ma soprattutto siamo arrabbiate con una società che non sembra voler cambiare, che non si ritiene malata e non si ritiene patriarcale. E’ una società che non vede come un problema se un ragazzo vuole leggere a tutti i costi i messaggi del cellulare della sua ragazza, se non la vuole far uscire senza di lui, se le proibisce di mettersi certi vestiti.
Ma adesso basta. Non ci interessa con quante panchine rosse commemorative ricoprirete le città. Delle belle parole dei politici, noi ci siamo stufate. Vogliamo poter tornare a casa di sera senza sentirci in pericolo e vogliamo poter uscire vestite come ci va. Non siamo più disposte a farci piccole e silenziose. Saremo rumorose e creeremo problemi. Non siamo più disposte ad aspettare: il rispetto lo meritiamo. Il rispetto, lo PRETENDIAMO.
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