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Il popolo delle donne

Sono andata in sala in un cinema bolognese attirata dal titolo di questo documentario: “Il popolo delle donne“. Era la sera del 26 novembre, la testa ancora frastornata per gli eventi di cronaca di quei giorni: l’omicidio di Giulia Cecchettin e la notizia di altri femminicidi accaduti in quella stessa settimana. Ma cosa mi ha spinta ad andare a vedere un’opera che parlava di questo tema, ma da un punto di vista diverso?

È stata la protagonista, la voce narrante e la professionista chiamata a parlare di femminicidio, violenza sulle donne, femminismo, che mi ha incuriosita. Marina Valcarenghi ha un curriculum particolare, prezioso: tra le varie esperienze, «la prima, e finora l’unica, a lavorare con la psicoanalisi in prigione, per 12 anni, nei reparti di isolamento maschile dei penitenziari di Opera e di Bollate, in autonomia di fronte all’istituzione e nel rispetto del segreto professionale. Nessun caso di recidiva segnalata dopo la liberazione»1. La professoressa, infatti, nel corso del film, diretto dall’artista di video arte Yuri Ancarani2, ha più volte citato i suoi pazienti, rispettando la loro privacy, ne ha presentato i casi e i commenti, o gli atteggiamenti, che altri suoi pazienti hanno portato nel suo studio nel corso della sua lunga carriera.

Ciò che il film ha dimostrato, tramite la lunga esperienza, la sensibilità e la perspicacia di Valcarenghi, è che la lotta contro la violenza maschile sulle donne abbia un che di rivoluzionario. Dopo millenni in cui l’uomo ha sempre avuto il potere prevaricatore sulla donna, su ogni aspetto della sua vita, e della sua morte, in cui l’obbedienza derivava da secoli e secoli di consuetudini e di leggi che ne tutelavano il potere patriarcale, la lotta per i diritti e la parità delle donne ha sconvolto questo equilibrio. C’è, però, qualcosa che non quadra, di inaspettato nella reazione della società in cui sono nati questi cambiamenti.

Valcarenghi parla, infatti, di due tipi di reazioni che gli uomini (italiani) della seconda metà del Novecento, dalle riforme del dopoguerra ad oggi, hanno adottato. Quello razionale, che permette di assimilare e normalizzare l’ingresso della donna nella vita lavorativa e politica, nelle decisioni familiari e in mille altri ambiti prima a lei preclusi (dalla patria potestà al conto intestato solo al marito, dal diritto al divorzio a quello di voto, così come le varie professionalità lavorative e di avanzamento di carriera), è un tipo di atteggiamento che mette l’uomo di fronte ad una novità e che, però, egli assimila e fa propria.

Opposto è l’atteggiamento che un altro tipo di uomo dimostra: è quello della paura per il cambiamento, del sospetto per qualcosa che non si conosce, per la rottura con una struttura rigida e binaria, una divisione dei compiti e dei ruoli, delle abitudini sul lavoro e a casa. Valcarenghi ritrova qui, dunque, l’origine dell’agressività, che porta l’uomo, impaurito dalla donna affermata ed in carriera, alla donna emancipata, a voler ristabilire “l’ordine” con la forza. Citando diversi uomini condannati per violenze domestiche e abusi, emerge come non vengano tollerate “capi donna che comandano”, e, dunque, si comincia a esercitare un controllo, psicologico, violento nei modi e nei gesti, di violenza fisica e sessuale, per provare a far tornare le cose com’erano prima.

Ho riproposto in poche righe la riflessione della dottoressa, e invito, perciò, a recuperare anche solo le clip disponibili nel sito del film. Ciò che mi ha fatta rimanere incollata con occhi e orecchie allo schermo della sala era la lucidità, la fermezza di Valcarenghi. Da una cattedra nel chiostro dell’Università degli Studi di Milano, propone ai suoi uditori e alle sue uditrici un nuovo approccio, che mette al centro la storia e l’esperienza dei singoli e di intere generazioni, per affrontare la questione della violenza di genere senza ricadere in luoghi comuni, semplificazioni o retoriche.

Ciò che, infatti, mi ha fatto cambiare prospettiva nei confronti del mondo che mi circonda, che vivo, da giovane donna quale sono, è questa consapevolezza: Valcarenghi ha dimostrato come l’uomo si senta legittimato ad essere agressivo e violento con le donne soprattutto quando queste si dimostrano indifese; tanto più esse sono inermi e non reagiscono, tanto più l’uomo colpisce e si sente impunito e legittimato a imporsi in questi termini. Ciò crea un circolo vizioso, per cui le donne vedono negli uomini una minaccia, e si rendono ancora più indifese, fragili e inermi. Tuttavia, conclude la dottoressa, non è una via senza uscita. Le donne, e gli uomini che non si rivedono in questo modello distruttivo che non accetta il cambiamento che sta attraversando la società italiana da sessant’anni a questa parte, si stanno levando per alzare la voce, per scendere in piazza e farsi sentire.

«Stanno succedendo cose che fanno pensare che siamo sulla buona strada» afferma Valcarenghi, riferendosi a ciò che in questi anni ha portato alla nascita e alla diffusione internazionale di movimenti come “Non una di meno”. Significa, perciò, che la reazione a ciò che sta accadendo, dall’aumento dei femminicidi alla difficoltà di sradicamento di comportamenti patriarcali e maschilisti della società, delle narrative dei media e dei luoghi anche istituzionali.

Quando le donne sapranno considerare la loro lotta come quella del “popolo delle donne”, teorizzato dalla stessa Valcarenghi, allora si potranno sentire unite come lo è stato per le battaglie iniziate e portate avanti da altri gruppi che, nella storia, si sono emancipati dalla condizione di discriminati.

  1. https://bandhi.it/bah/ilpopolodelledonne/ilfilm/#eluida238ba94 ↩︎
  2. https://www.yuriancarani.com/works/il-popolo-delle-donne/ ↩︎
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Gaia Zordan

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