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Oltre il binarismo di genere nell’arte del passato: Gluck (1895-1978)

Quando si parla di superamento del binarismo di genere, ovvero l’andare oltre la dicotomia maschile-femminile, con persone non avvezze al tema, una delle prime considerazioni che emergono è che queste “insinuazioni” siano una moda dei tardi anni duemila, un “capriccio” delle persone giovani che, da un giorno all’altro, hanno deciso che non si è più uomo e donna. In verità, la storia, o in questo caso la storia dell’arte, ci dimostrano che, in realtà, è sempre stato così: vi presento, dunque, Gluck.

Gluck, Medallion, olio su tela, 1936.


Gluck, person* a cui è stato assegnato il sesso femminile alla nascita, è stat* un* artista britannic*, legat* all’arte della pittura. Nasce nel 1895 da una ricca famiglia londinese e frequenta, dopo la sua formazione, la colonia di artist* local* nella Cornovaglia. La sua arte diventa nota per i ritratti e dipinti floreali, acquisendo un certo successo: difatti, le sue opere sono state esposte in diverse occasioni in mostre personali, essendo che Gluck non si è mai identificat* in nessun movimento artistico di quegli anni.
L’artist*, non riconoscendosi né come donna, né come uomo, e rifiutando gli appellativi “Miss” e “Mister”, sceglie per sé un nome neutro, “senza prefisso, suffisso o virgolette”, come afferma. Da subito, differentemente da cosa la società si aspettasse, decide di indossare abiti tipicamente maschili e di frequentare donne, nonostante venisse ritenut* una donna. Tutte queste scelte vanno contro le leggi del tempo: l’omosessualità è stata considerata illegale fino al 1967, anno in cui, tuttavia, sono vietati gli atti in pubblico e “l’indecenza fra uomini” è considerata ancora reato (non che il lesbismo fosse ben visto). Insomma, l’identità di Gluck rappresenta un qualcosa di rivoluzionario in un momento storico lontano dalle libertà che abbiamo oggi (nonostante il percorso sia, tuttora, ancora lungo e impervio per arrivare a parlare di accettazione sociale).


In un mondo dell’arte dominato dagli uomini, i cui soggetti femminili sono influenzati dal male gaze (il famoso “sguardo maschile”, ovvero il vedere le donne solo attraverso gli occhi spesso oggettivanti di un uomo), Gluck offre un’alternativa, andando ad arricchire il panorama artistico britannico. Ad esempio, nell’opera Flora’s Cloak (1923), l’artist* rappresenta la dea Flora con un mantello di fiori. Il suo corpo, differentemente dalle altre raffigurazioni di Venere, è più realistico, muscoloso, con i seni imperfetti e senza genitali, donando alla dea una nuova rappresentazione senza perdere la sua carica erotica.

Gluck, Flora’s Cloak, olio su tela, 1923 ca.


Insomma, non solo le persone trans* sono sempre esistite, ma hanno offerto al mondo dell’arte, come si vede nell’esempio di Gluck, nuove prospettive e punti di vista, che ci mostrano il reale più vero che mai: variegato e complesso.

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Ilaria Rusconi

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