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L’hai mai visto bene un porno?

Era il 17 Gennaio 2020 quando Margherita Vicario ha fatto uscire il singolo “Giubbottino”. Nel videoclip, un gruppo di donne over 40 osserva, scruta e sospira di fronte alla sfilata di moda di prestanti e aitanti giovani uomini, perlopiù in biancheria intima dove si dirige, ogni tanto, qualche mano curiosa. E contemporaneamente la Vicario chiede, rivolgendosi direttamente alla telecamera: “L’hai mai visto bene un porno? Ah, spacca il cervello”.

Ma c’è di più: incita le donne a dire tutto ai propri uomini, a chiedergli tutto ciò che vogliono e a riferirgli ogni dettaglio sessuale, che “si trasformerà in un sogno”. L’obiettivo della cantante, che nei suoi testi si impegna spesso su tematiche come il razzismo o il capitalismo, è tanto criticare gli uomini che si sentono fighetti quanto denunciare il fatto che la società non accetta donne che parlano di sesso, porno e piacere. E dal 2020 al 2024 non è cambiato poi molto.

Porno: da guardare solo se provvisti di pene

Secondo il diktat patriarcale, il piacere sessuale è una prerogativa appartenente al genere maschile. La masturbazione del fanciullo è, sin dalla tenera età, placidamente accettata, annoverandola tra le esperienze naturali che il maschio ricerca, in quanto tale. Per questo motivo, i prodotti che generano piacere, come appunto il porno, sono concepiti a uso e consumo maschile. La loro natura fallocentrica si riconosce in scelte molto precise. Solitamente, il porno coinvolge un uomo e una (o più) donne, spesso bianchi e di giovane età, con poche inquadrature sull’uomo e numerose sulla donna, e movimenti penetrativi pene-vagina o pene-ano. Ovviamente, il culmine è la virile, scenografica, mastodontica eiaculazione maschile. Con tanta buona pace della donna che sta lì.

Porno: da evitare come la peste se provviste di vagina

Mentre il maschio dovrebbe trastullarsi nella sua cameretta, alla scrivania e con i fazzoletti a portata di mano, come vuole l’immaginario comune, la femmina invece dovrebbe fuggire da qualsiasi interazione con il porno. La morale, infatti, non contempla l’esistenza di una donna che possa avere desideri e fantasie sessuali. Ed è il motivo per il quale i contenuti di questo tipo non sono concepiti per il suo sguardo. Lei non può guardare, può esolo essere guardata, desiderata, scopata.

Tutte le azioni da soggetto agente sono proibite alla donna: non può guardare, non può desiderare, non può scopare. Se guarda, desidera o scopa, verbi che si riassumono in “prova piacere”, verrà additata come una poco di buono, prostituta, puttana e quant’altro. E ovviamente la società civilizzata sarà pronta a rimetterla al suo posto: guai che tragga piacere dall’esprimersi del suo corpo. Per non parlare, poi, di altre identità di genere, le cui esigenze e interessi non vengono minimamente presi in considerazione.

Per questo, la cara industria del porno mainstream non ha particolare interesse a soddisfare le fantasie sessuali di un essere comunemente bollato come privo di desiderio, non pensando a creare contenuti che possano soddisfare il female gaze. E lascia le donne a bocca asciutta, anzi, a vagina secca.

E poi fu il corpo

Questo stretto rapporto tra il porno e i ruoli imposti dalla società patriarcale all’uomo e alla donna è un cane che si morde la coda. Ovvero: si pensa che la donna non abbia desideri sessuali, quindi la donna non è considerata un target rilevante per la produzione di porno. Così, i desideri sessuali della donna vengono tagliati fuori dalla principale fonte di contenuti sessuali, nonché di educazione. E quindi la donna nell’immaginario comune, semplicemente, non ne ha. Ed è per questo che appare tanto incomprensibile e difficile da capire che invece, qualsiasi donna, di qualsiasi provenienza ed età, il desiderio sessuale ce l’ha eccome. Ah, cara industria del porno mainstream, quante cose ancora hai da imparare.

A cogliere questi desideri insoddisfatti e subalterni – non solo delle donne, ma anche di altre soggettività di genere – fu inizialmente il movimento postporno, un fenomeno che affonda le sue radici negli anni ’70 e che riesce a darsi un nome negli anni ’90. La sua prima sperimentazione si deve ad Annie Sprinkle, sex worker e pornostar, attivista e sessuologa. Dal 1970 circa, diede il via a una creazione di contenuti che sfuggiva alle etichette dei contenuti mainstream. Faceva spettacoli dove giocava con il suo sangue mestruale, inneggiava al pissing, praticava il bondage e il sadomasochismo, faceva sesso con un nano e con una persona transessuale. Nel 1982, condusse il suo primo film porno, Deep Inside Annie Sprinkle, passando da attrice a regista. E in scena ci entra proprio lei, portando sullo schermo il piacere e l’orgasmo femminile, fino ad allora grande assente del porno mainstream.

Ciò che spicca nei suoi contenuti è che assume un ruolo ben distande dall’immaginario collettivo di ragazza ammaestrata che riceve un pene. Lei prende, agisce, fa del suo corpo ciò che vuole in nome del suo stesso piacere. In altre parole, con il postporno, non ci sono ruoli stereotipati con altettante rappresentazioni standardizzate, ma l’esplorazione di tutti i corpi, con una varietà di approcci infiniti, e l’obiettivo naturale e non imposto di validare qualsiasi desiderio umano.

E poi fu il femminismo

Non mancò, in quegli anni, anche una sperimentazione orientata prettamente al piacere femminile, che si strutturò fino a far sorgere anche vere e proprie case di produzione pornografica. Nel 1984, Candida Royalle, conosciuta anche come Candice Ball, fondò Femme Productions, per produrre contenuti sessualmente espliciti rivolti alle donne e alle coppie. Cosa cambiava rispetto al porno mainstream? Vennero introdotti elementi che si discostavano apertamente dalle rappresentazioni egemoniche, inserendo per esempio l’after-care dopo il sesso, così come l’importanza del sesso protetto o soggetti maschili dolci. In più, venne data rilevanza alla componente emozionale del sesso, che non si risolveva in quattro spinte e una eiaculazione maschile plateale, ma aveva bisogno di una dimensione più profonda e complessa che coinvolgesse anche i sentimenti.

Candida Royalle fondò anche Feminists for free expression, organizzazione sex-positive contro la censura e un gruppo di sostegno per le attrici di film erotici sfruttate dai loro datori di lavoro, iniziando anche una riflessione sul porno etico.

Anche se, va detto, parte del femminismo dell’epoca criticò fermamente la pornografia, seppur presentata sotto un’ottica di genere. Una frangia del movimento era contrario in generale a questa tipologia di contenuti e lavori, ntravedendo in queste pratiche una finta liberazione femminile.

E poi fu la politica

A voler fare una similitudine nostrana, dai tratti più politicizzati ed espliciti, è sicuramente da nominare Moana Pozzi. La famosa pornostar, infatti, diede una scossa tanto all’industria del porno quanto ai suoi consumatori. Dopo aver iniziato la carriera di pornostar a Roma, costruì il suo percorso senza nascondersi nell’ombra che solitamente è richiesta dalla società per un lavoro del genere. Al contrario. Nel 1986, fu protagonista assieme a Cicciolina dello spettacolo teatrale Curve deliziose, in cui rivolgevano al pubblico – prettamente maschile – domande sul sesso. Nel frattempo, Moana iniziava a masturbarsi su una vistosa sedia bianca sulle note di canzoni metal. E, alla fine, chi aveva dato le risposte migliori, era invitato a terminare con la bocca ciò che la performer aveva iniziato. Inutile dire che, nonostante la denuncia per atti osceni in luogo pubblico e oltraggio al comune senso del pudore, lo spettacolo nei suoi soli 14 giorni di programmazione fece il tutto esaurito.

Moana, nella sua più assoluta trasgressività, sostenne poi apertamente il Partito dell’Amore, fondato nel 1991. Il gruppo si era presentato prima alle elezioni politiche del 1992 e poi alle amministrative di Roma nel 1993. Le proposte? Educazione sessuale, miglioramento della condizione affettiva dei detenuti, legalizzazione dei bordelli, revisione del concetto di oscenità.

Il porno, così come il piacere, non era più un contenuto da consumare silenziosamente nella vergogna. Anzi, Moana nella sua carriera lo celebrava, lo validava e lo faceva proprio, sbattendolo di fronte al suo pubblico. Sfuggiva allo stereotipo che vuole la donna imbarazzata per la grave onta di aver fatto un contenuto sessuale.

Gender orgasm gap

Cosa hanno in comune le esperienze di Annie Sprinkle, Candida Royalle e Moana Pozzi? Sono donne che parlano di sesso, porno e piacere femminile. Quindi, sono lontane anni (quasi) luce dall’Italia odierna. Ancora oggi, infatti, una donna che si riappropria del proprio piacere, intraprendendo discorsi sul sesso con sicurezza o curiosità o dichiarando apertamente che guarda porno è socialmente giudicata per le sue abitudini disinibite. Sicuramente non adatte a una signorina! Come si è visto, è uno stereotipo ancora duro a morire, così come le conseguenze che comporta. Il fatto che la donna non venga vista come un essere desiderante la pone inevitabilmente in una posizione di svantaggio rispetto all’uomo, il cui piacere avrà sempre la precedenza.

Un fenomeno diffuso all’interno dei rapporti eterosessuali è il divario di genere dell’orgasmo (Gender orgasm gap). Il 95% delle volte gli uomini lo raggiungono contro il 65% delle donne secondo una ricerca americana pubblicata nel 2018. Questa differenza potrebbe essere plausibilmente spiegata dal fatto che la società spesso biasima il piacere femminile e la pratica della masturbazione. In questo modo, si impedisce alle donne di sviluppare pienamente una conoscenza approfondita del proprio corpo. Al contrario, si sviluppa immediatamente un senso di vergogna e pudicizia a riguardo.

Secondo una ricerca condotta da Durex, 3 donne su 4 non riescono ad avere l’orgasmo e hanno indicato come ci riescano stimolando la clitoride. Al contrario, il 30% degli uomini afferma che il modo migliore per far raggiungere l’orgasmo alla donna sia tramite la penetrazione vaginale. In questa caotico ambiente, è evidente che il porno non può rifuggire al ruolo di educatore sessuale, come principale fornitore di contenuti erotici. Ed è per questo che eliminare gli stereotipi anche da quel tipo di prodotti è fondamentale.

Donne che parlano di porno: spaccano il cervello

Tutto molto bello, sulla carta, ma nel piccolo mondo di ciascuna, cosa si fa?

Il primo passo per le donne è riappropriarsi del proprio corpo, così come del loro piacere, nello spazio pubblico quanto in quello privato. Di esempi dell’ultimo periodo, timidamente, se ne può fare qualcuno. Anche nel mondo cinematografico. Una curiosa e ipnotica Bella Baxter, in Povere Creature, scopre l’emancipazione femminile tramite l’eros e la conseguente, completa e assoluta disposizione del proprio corpo a suo piacimento. Siamo noi i nostri mezzi di produzione”, risponde fieramente quando viene chiamata troia.

E perchè no, anche Valentina Nappi, nei suoi stessi panni, in Pensati sexy, che guida Maddalena, interpretata da Diana Del Bufalo, nella nobile arte dell’esplorarsi per sé, non per gli altri, mentre indossa un succinto abito da suora sexy. E devo dire, in un’Italia bigotta come la nostra, è una scelta favolosamente trasgressiva da parte della regista Michela Andreozzi. Finalmente, aggiungerei. Perchè in effetti, Michela Murgia, aveva ragione a dire che la cosa più sovversiva che può fare una donna è parlare. Figuriamoci poi se parla del proprio piacere.

Porno e piacere: per un non-manuale della brava femminista

Ma quindi, tutto questo, significa che il desiderio sessuale femminista debba essere orientato solo verso contenuti erotici che rispettino la donna? Per fugare ogni dubbio, la risposta sarà semplice: no. Se casualmente il cursore dovesse inciampare in un contenuto dove la donna viene oggettificata, ciò non renderebbe chi guarda quel porno una cattiva femminista. Così come, se a quella persona vedere porno non dovesse piacere, non la renderebbe meno emancipata.

In primo luogo, è importante distinguere tra fantasie e desideri reali. Il consumo di pornografia rappresenta spesso una fantasia che si sta esplorando, piuttosto che un desiderio che si sta attuando nella vita reale. In secondo luogo, anche nel caso in cui una persona decidesse di realizzare tali fantasie, ciò potrebbe avvenire con una presa di coscienza pregressa del proprio piacere e delle proprie preferenze sessuali. La pratica sessuale consapevole e consensuale non implica necessariamente la perpetuazione di stereotipi di genere o di cliché dannosi. Essere femminista significa anche essere consapevoli della propria sessualità e delle proprie scelte, senza dover conformarsi a un’unica visione rigida di ciò che è “corretto” o “sbagliato” in termini di desiderio sessuale. Si può, comunque, provare altre vie alternative a ciò che ci viene quotidianamente offerto: dal porno etico a quello femminista, dal postporno alla sperimentazione privata.

L’importante, è partire dal desiderio, il proprio.

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Elena Morrone

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