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Una donna che dà voce alle donne: Maria Bellonci

Life bites

«Ho portato con me questa privazione di Goffredo in quello che faccio. E credo si avverta, nei miei scritti, tanta disperazione umana». Chi parla è Maria Bellonci (30 novembre 1902 – 13 maggio 1986), in un’intervista a Giorgio Torelli per Epoca del 1973, e racconta della perdita di suo marito Goffredo Bellonci. Maria è una scrittrice e ha conosciuto Goffredo, critico bolognese redattore del Giornale d’Italia, negli anni Venti, quando sottopone alla sua attenzione il primo romanzo Clio o le amazzoni (1922). La loro relazione comincia poco dopo e li unirà per sempre la passione per la letteratura. I due infatti erano soliti tenere delle riunioni settimanali, anche in tempo di guerra, formate da un gruppo di letterati chiamato ‘Amici della domenica’. Grazie alla partecipazione economica di Guido Alberti – produttore del liquore Strega – nel 1946 viene istituito il premio letterario Strega, dotato di un nuovo sistema di valutazione fondato sulla votazione pubblica a due turni dell’intero gruppo di ‘Amici’. Alla prima edizione, nel 1947, partecipano autori del calibro di Alberto Moravia con La romana, Vasco Pratolini con Cronache di poveri amanti, Cesare Pavese con Il compagno, Anna Banti con Artemisia, per poi essere vinto da Ennio Flaiano con Tempo di uccidere.

Maria Villavecchia in Bellonci comincia la sua carriera di scrittrice così, con un romanzo di poco successo e l’introduzione nei circoli letterari romani. Comincerà ad appassionarsi ai temi storici e alle figure di donne del passato, come Lucrezia Borgia, sulla quale comincerà uno studio storico e biografico assiduo, che sfocerà nella pubblicazione del romanzo Lucrezia Borgia nel 1939 per Mondadori.

Gli anni ’50 e ’60 coincidono per Maria Bellonci con l’apice del suo successo: a fronte della fondazione del Premio Strega, attira l’attenzione del critico Giacomo Debenedetti e pubblica una raccolta di tre racconti (Tu, vipera gentile). Tuttavia, la perdita del marito nel 1964 sarà dolorosa per lei e faticherà a riprendersi.

Nel 1969 la Rai le propone di scrivere una sceneggiatura televisiva dedicata a Isabella d’Este, ma lo sceneggiato occupa sette anni di lavoro e non vede mai la luce. Allora Bellonci pensa di non sprecare quella fatica e di trasformare i documenti raccolti in un romanzo: Rinascimento privato esce nel 1985. Maria accoglie i consigli di alcuni amici e candida il suo testo al suo Premio Strega. Il libro vincerà, ma da solo: Maria Bellonci muore il 13 maggio 1986 per un tumore.

Rinascimento privato e la mimesi linguistica di Isabella d’Este

Il racconto si incentra su Isabella d’Este, moglie di Francesco II Gonzaga del ducato di Mantova, e racconta in prima persona la sua storia, con il controcanto delle dodici lettere di un suo ammiratore segreto Robert de la Pole. Maria Bellonci prende spunto dalla sua vicenda personale per inventare l’ammiratore segreto della marchesa: uno studioso del Rinascimento André Desjardins si scusava in una lettera indirizzata a lei di averle tenuto segreto il suo sacerdozio nel loro incontro di qualche anno prima.

Tutto il resto però è preso da documenti veramente esistiti e dalle lettere di corrispondenza di Isabella. Se ne veda un esempio nel magistrale lavorio di mimesi linguistica che l’autrice compie per cercare di dare un tono anticheggiante al testo. Se è Isabella a parlare in prima persona – al contrario del romanzo su Lucrezia Borgia scritto in terza persona – è necessario usare una lingua il più possibile vicina a quella della marchesa. Come fare ciò? Maria studia per anni la corrispondenza di Isabella e se ne può vedere il risultato qui. In una lettera a Donato Preti del 17 marzo 1510, Isabella parla dell’affetto che prova per il suo primogenito Federico: «quanto refugio et alleviamento havemo è la presentia di questo charo figliolo, di gran conforto et speranza a questo populo et subditi: del qual chi ne privasse ne privaria de l’anima et de ogni nostro bene: da tuorni la vita et il stato et da tuorni Federico non gli sapemo differentia alchuna». Maria Bellonci rielabora questo passo così: «Nel caso miserando del signore nostro consorte, alleviamento indicibile è la presenza di questo caro figliolo, e grande refrigerio e speranza arreca al popolo e ai sudditi. Chi mi privasse di lui mi priverebbe dell’anima, tanto che dal togliermi la vita e lo Stato a togliermi Federico non c’è differenza». Sicuramente più comprensibile per un lettore moderno, ma il contenuto rimane intatto, così come la struttura sintattica anticheggiante.

Altra maniera con cui Bellonci rievoca la lingua del passato è l’uso di alcune desinenze desuete negli aggettivi. Qualche breve esempio: aggettivi terminanti in –ivo: «i ragionamenti attrattivi»; «il linguaggio incitativo»; «la dubitativa cerimonia»; «il parlare penetrativo»; «la freddezza ragionativa»; o in –evole: «i lusinghevoli oroscopi»; «le venature burlevoli»; «le inchinevoli cortigianerie»; «le epistole motteggevoli»; «la bizzarria ridevole»; o ancora in –oso: «il cuore rapinoso»; «il genero corruccioso»; «una vita troppo malinconiosa»; «i pensieri travagliosi». Questi aggettivi danno subito quell’aria rinascimentale a un romanzo che possiede il fascino del Rinascimento senza essere incomprensibile.

Come scrittrice quindi Maria Bellonci non solo si è immedesimata in delle donne forti come Lucrezia Borgia e Isabelle d’Este, ma ha condotto uno studio approfondito su un aspetto spesso trascurato nei romanzi storici ma fondamentale per dare quella patina anticheggiante: la lingua.

Fonti: Maria Bellonci su Treccani online; Rinascimento Privato di Maria Bellonci; Valeria Della Valle, Una lingua moderna con una patina di antico, Appendice linguistica a “Rinascimento privato” di Maria Bellonci, Milano, Oscar Mondadori, 1990, pp. 561-70.

Gloria Fiorentini

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