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Copertina di "L'isola dei senza memoria" di Ogawa Yoko

Identità e ricordi: L’isola dei senza memoria di Ogawa Yoko

Livrustkammaren, Skoklosters slott and Hallwylska museet
Livrustkammaren, Skoklosters slott and Hallwylska museet

A volte mi chiedevo quale fosse stata la prima cosa a scomparire dall’isola. […] Tutti, me compresa, riuscivamo a dimenticare un sacco di cose con grande facilità. Era come se quest’isola non potesse stare a galla che su un mare di vuoto dilagante.

In un luogo lontano, nel bel mezzo di un angolo di oceano nascosto, c’è un’isola molto diversa dalle altre. Con il trascorrere degli anni, i suoi abitanti dimenticano. Dimenticano come consultare i calendari, suonare gli strumenti musicali, la bellezza delle rose, l’aspra dolcezza dei lamponi. E a ogni sparizione la “cosa” in questione perde la sua presenza, a volte se ne va per conto proprio come petali trasportati dal vento, altre viene espulsa dalle case di ognuno volontariamente e bruciata, essendo ormai priva di significato. Nei casi peggiori, la Polizia Segreta raggiunge coloro che indugiano sul ricordo e obbligano in maniera coercitiva la persona in questione a lasciar andare, portandosi via tutto quello che riguarda la memoria ormai perduta.

Questo vuoto non lascia orrore: gli spazi orfani si moltiplicano, anche dove il distacco è più difficile. Nessuna nostalgia, solo una sensazione di inconsistenza che piano scivola via.

La protagonista è una scrittrice di romanzi. I personaggi principali delle sue storie perdono sempre qualcosa. Un amore, una gamba, la salute, la voce. Ed è proprio la voce della donna del suo quarto romanzo a intrecciarsi alle pagine di Ogawa, in una trama che proietta i due differenti mondi che tanto ricorda La fine del mondo e il paese delle meraviglie di Murakami Haruki: una struttura binaria dove due storie, all’inizio estranee, trovano una comunione di sentimenti.

Dicevo, c’è un isola. L’isola dei senza memoria. Un’isola che soffia via i ricordi dei suoi abitanti. Nulla fa eccezione, nulla è risparmiato. E invece no.

Alcuni abitanti resistono a questa spirale del tempo e non dimenticano. Sono gli unici a conservare il ricordo di un vecchio carillon, del profumo sbiadito in una boccetta di profumo disabitata da anni e ben nascosta in fondo a un cassetto. Appare come un dono, li immagineremmo come eroi, i baluardi di una memoria che rischia l’oblio. E invece sono perseguitati. In quest’isola dei senza memoria, La Polizia Segreta li scova e li imprigiona, o almeno così si suppone quando li strappa dalle loro abitazioni e dai loro familiari, mentre chi resta continua a perdere ogni giorno una parte di sé insieme ai più svariati oggetti.

Seppure questo romanzo distopico mostri i rischi di un governo totalitarista che spranga con le sue regole anche il più remoto accesso alla speranza (e mostra le influenze di Orwell, Anna Frank, Auster e dello stesso Murakami, per citarne alcuni), quello che davvero colpisce di questo romanzo è la costante tensione incollata tra le sue pagine. Si avverte una vibrazione di inquietudine, anche nei momenti più sereni. La Ogawa si concentra sulle dinamiche del cuore e della percezione, mentre sullo sfondo paventa la disumanizzazione del genere umano in uno stato di polizia dittatoriale e violento.

«Ricordo che un tempo qualcuno ha detto: “Chi brucia i libri, prima o poi brucerà le persone”» dissi.

Cosa saremmo senza i nostri ricordi?

Questa rimane la domanda pur dopo aver terminato la lettura. Se Il futuro ci tormenta, il passato ci trattiene, ecco perché il presente ci sfugge (Gustave Flaubert, Lettere a Louise Colet), questo è un mondo in cui l’idea di un futuro rovinoso ci tormenta, il passato si cancella e il presente è l’unica cosa che ci appartiene. Un presente breve e sempre più scarno, senza il sostegno della vita costruita giorno dopo giorno. Un mondo senza fotografie e in cui tutto è effimero, comprese le nostre passioni più profonde.

Chi non dimentica riuscirà a tornare in superficie? Risiede nella protezione della memoria l’unica ragione di salvezza?

«Anche io vorrei saperlo. È per questo che ho continuato a fissare l’oscurità, anche dopo la scomparsa dei fari posteriori dei camion. Sono rimasta immobile senza cappotto, senza guanti, ignorando la neve che mi cadeva sul viso. Come se, rimanendo così per tutto quel tempo, prima o poi sarei riuscita ad avvistare il luogo in cui vanno a finire i ricordi.»

Buona lettura

L’isola dei senza memoria, di Ogawa Yoko.

Ogawa Yoko è la vincitrice di numerosi premi letterari come il Kaien Prize, Akutagawa Prize, Yomiuri Prize, Izumi Prize e il Tanizaki Prize.

Tradotto in italiano da Laura Testaverde.

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Alessandra Marrucci

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