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Marie e la bambina

C’è solo un tavolo occupato, ed è quello di Marie e la bambina. Marie si guarda attorno, a destra, poi a sinistra. Non vede nessuno, sono loro due e basta. C’è caldo e il loro tavolo è sotto il sole. I capelli di Marie vengono scompigliati dal vento afoso che soffia in quei giorni di agosto, il soffio del diavolo, come lo chiamavano da piccola lei e sua sorella.

“Vuoi qualcosa, piccola?”, chiede Marie alla bambina.

La piccola non la guarda nemmeno, ha nascosto la testa dietro un ventaglio a fiori rossi e gialli.

“Non ho fame.”

“Nemmeno una Coca-Cola con il limone? Ti farà bene con questo caldo.”

La bambina gira la testa, irrequieta. Non le risponde e continua a sventolarsi.

Marie sente il rumore delle macchine che percorrono la strada davanti a loro, ma non ci sono voci di persone, soltanto il suono delle ruote sulla ghiaia e il fischio del vento.

Le corde di plastica di una tenda si muovono e una donna in carne con un grembiule a quadratini si avvicina a loro. Marie la guarda camminare. Assomiglia a Lina, stessi fianchi, stessi capelli arruffati, stessi polpacci. Ha lo stesso profumo. Una mosca ronza attorno al viso della donna, la scaccia con un panno che teneva in mano e biascica parole che Marie non capisce. Non può essere Lina, pensa Marie, lei non parla così, non parlerebbe mai così.

“Questa estate c’è un’invasione di mosche.” La donna ride e mostra i denti, irregolari, piccoli e gialli.

Non può essere Lina, ne sono sicura.

La bambina guarda il cielo, non ci sono nuvole. Tiene gli occhi socchiusi e fissa un punto nell’azzurro abbagliante.

“Cosa vi posso portare?”, la donna si rivolge a Marie sorridendo, di nuovo. Marie ordina una granita al limone e per la bambina una bottiglia d’acqua naturale.

“Non ha fame nessuno con questo caldo!”

Marie guarda la donna allontanarsi. Lina non può essere cambiata così tanto, e poi l’avrebbe riconosciuta. Lei è la stessa di sempre. Porta gli occhiali da quando era piccola, ha lo stesso taglio di capelli da maschiaccio, non ha mai dato importanza all’abbigliamento.

Sono solo un po’ invecchiata.

“Ti piace questo posto, piccola?” Marie ci prova, ma la piccola non smette di fissare il cielo.

“Non c’è niente, zia.”

Per la prima volta l’ha chiamata zia da quando è arrivata in casa.

“Non è vero, guarda quanto verde. C’è un sacco di spazio per correre, giocare a nascondino. A te piace, vero?”

La bambina scuote la testa. Marie non capisce se è un sì o un no.

“Poi ti porto a vedere quella chiesa strana lì sotto e ti racconto una storia di fantasmi.

Ai bambini di solito piacciono le storie di fantasmi.

La piccola ha smesso di guardare il cielo, la parola “fantasmi” l’ha scossa.

“Mamma non vuole che parliamo di queste cose.”

“Di cosa, piccola?”

“Di fantasmi. Dice che non esistono e che se ci penso poi la notte non dormo e la sveglio”.

“Ma non sempre i fantasmi sono quelli cattivi della tv.”, Marie si pente subito di quelle parole.

“Che significa?

Intanto arriva la donna con le bibite in un vassoio di legno.

“A voi. A te, piccola, ho portato un cucchiaino, se vuoi un po’ di granita.” Le porge un cucchiaio rosa a pois bianchi. La piccola accenna un sorriso, ma lo lascia sul tavolo.

“Buona merenda!”

Marie ripensa a quello che stava per dire alla piccola. Non ci so fare proprio con i bambini, pensa.

 Ha solo sette anni, che ne può sapere? 

Mangiano la granita in silenzio. La bambina non fa più domande e guarda attraverso il bicchiere di vetro della granita come se dietro si nascondesse qualcosa. Dalla sala del bar si sente una canzone alla radio, ma il volume è troppo basso e Marie non riconosce la canzone. Poi si alzano, salutano la cameriera, pagano e vanno via.

Attraversano il sentiero che affianca il bar. La ghiaia sottile strofina contro le suole delle scarpe, scandisce il tempo, definisce lo spazio. Camminano fino alla chiesa.

“Quindi è questa la chiesa?”

La bambina si è ricordata.

“Sì. Non è bellissima?” Marie si rende conto che bellissima non è il termine più adatto. Ha la facciata rovinata dalla pioggia. Le incisioni sul portone di legno si vedono a malapena e le vetrate sono diventate opache. Una volta, tanto tempo fa, era una bella chiesa.

“Mi fa paura.”

Marie non si stupisce. È il vero motivo per cui le è sempre piaciuta. Quando attraversava con Lina e le sue amiche il lungo viale di ciottoli che conduceva all’ingresso veniva attratta da quella maestosa porta in legno dagli intarsi segreti. Il percorso che bisognava seguire per entrare rappresentava una sorta di rito di iniziazione: con la sguardo rivolto in avanti ognuno provava a decifrare il significato delle decorazioni sulle finestre e a ogni passo aumentava l’angoscia.

Se non hai paura prova a entrare da sola, quando il cielo inizia a farsi buio e le finestre non fanno entrare la luce.

La voce da bambina di Lina, sempre sottile, limpida e dolce, le echeggiava nella testa.

L’avevano fatto una volta, tanto tempo fa. Era una giornata nuvolosa di fine agosto. Lei e Lina avevano preso le bici ed erano arrivate fino alla chiesa, da sole. Poi avevano deciso di attraversare il viale, guardando le vetrate. Lina aveva iniziato a raccontare la sua storia, la versione che le avevano raccontato le nonne.

Marie la ascoltava mentre camminava fissando la grande croce stilizzata in alto, nera e luccicante. Più si avvicinava e più sembrava che le figure prendessero vita e che i cavalli dipinti si animassero. Poi erano arrivate davanti il portone e Marie si era bloccata. Era rimasta immobile davanti l’ingresso senza riuscire a muovere un muscolo e aveva iniziato a percepire un forte formicolio alle gambe. Poi era andata via ed era tornata dalle braccia della nonna. L’aveva abbracciata forte e le aveva chiesto scusa.

Marie si ricorda dello sguardo di sua nonna, l’amore e la delicatezza del palmo delle mani. L’odore di rosa e muschio verde.

Marie tiene la mano della bambina sempre più stretta. Sente di proteggerla, come aveva fatto sua nonna quel pomeriggio.

Lei da piccola non aveva lo stesso sguardo. Non era stanca, annoiata. Cosa posso fare? Pensa.

“Non mi piace qui, non c’è niente.” La piccola le tira il braccio, come per tornare a casa.

Marie vuole rimanere lì, vuole parlarle di come stava bene tanti anni fa, del verde accecante, delle storie del suo passato, delle voci di vecchie amiche, dell’odore della terra bagnata d’estate, delle lucciole nelle notti calde d’estate. Ma non ce la fa.

“Non mi hai raccontato più la storia di fantasmi.”

Come deve dirglielo alla bambina, Marie, che i fantasmi esistono e vivono in quel luogo accanto a loro. Danzano sui ciottoli arrotondati che riempiono il sentiero, ridono tra di loro, si lanciano petali di margherite le stesse margherite che lei e Lina raccoglievano dai bordi delle strade. Fanno m’ama e non m’ama proprio come loro due, si rincorrono e ballano insieme al vento.

“Siediti un attimo qui.”

Le mostra una panchina verde mezza arrugginita.

“Guarda qui.”

È una piccola incisione. Ci sono due iniziali e un cuore.

“Questa è la stessa panchina di quarant’anni fa. Era il posto dove ci sedevamo ogni giorno io e una vecchia amica, e parlavamo di tutto, guardavamo il cielo, sognavamo cosa saremmo diventate.”

La bambina tocca la scritta in rilievo.

“E perché è una storia di fantasmi?”

Marie sorride. È curiosa come lei.

“Un giorno te lo racconterò, piccola.”

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Sara Noto Millefiori

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