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Il genere influisce sull’uso dei diminutivi?

Diversi studi hanno ormai dedicato spazio all’ambito diasessuale della lingua, intendendo con ciò la possibilità che vi siano diverse caratteristiche nel linguaggio in base il sesso. Come abbiamo già affrontato il tema della gentilezza, proseguiamo con l’uso dei diminutivi.

Cosa sono i diminutivi?

I diminutivi sono, secondo il vocabolario Treccani online, la «derivazione morfologica di un nome che serve a indicare una diminuzione quantitativa, una misura ridotta, o ad attribuire un valore affettivo: casetta “casa piccola” o “casa graziosa e cara”».

In pragmatica, ovvero quella branca della linguistica che studia l’uso della lingua nella sua realizzazione concreta e in relazione con gli altri parlanti, alcuni diminutivi assumono anche un altro ruolo: chi parla considera quell’enunciato come non serio. Ad esempio, se io chiedessi “puoi aiutarmi a risolvere questo problemuccio?” a qualcuno, gli sto implicitamente facendo capire che il mio problema non è tanto serio, quindi sarà più propenso ad aiutarmi se sa di non dover occupare molto tempo.

Cosa c’entra il genere?

Il genere di un parlante sembra non andare d’accordo con la definizione suddetta. In realtà, socialmente siamo portati a pensare, associando l’uso dei diminutivi al baby talk, che le donne siano più propense all’utilizzo di aggettivi o nomi di questo tipo.

La studiosa Anna De Marco ha raccolto dei dati di lessico di italiano del parlato (tramite un database denominato LIP, creato da Tullio De Mauro nel 1993) per analizzare eventi e situazioni comunicative in quattro città italiane con lo scopo di capire se l’uso dei diminutivi sia relazionato all’identità dei ruoli maschile e femminile e come questo influenzi le credenze o gli stereotipi.

De Marco ha creato un questionario e lo ha sottoposto ai parlanti: non solo si chiedeva qualcosa riguardo all’uso che fanno dei diminutivi, ma anche di leggere un dialogo tra anonimi (in cui erano ovviamente presenti i diminutivi) e identificare le caratteristiche fisiche e culturali dei parlanti.

I risultati dello studio

Lo studio, durato otto mesi, ha prodotto i seguenti risultati.

– In generale, il diminutivo viene usato indistintamente da uomini e donne, con la stessa frequenza, sia che il destinatario sia uomo che donna.

– Le donne che sono solite usare i diminutivi con i bambini (magari perché hanno figli/nipoti) tendono a usarli anche nelle interazioni con gli adulti.

Per quanto riguarda credenze e stereotipi, l’indagine ha evidenziato che i parlanti sono propensi a ritenere i diminutivi una prerogativa più femminile che maschile. I diminutivi nella concezione generale sono poi associati all’emotività: chi usa troppi diminutivi è considerata/o debole o sdolcinato, aggettivi solitamente associati alla sfera femminile.

Tuttavia, nell’analisi pratica spesso i parlanti analizzati non riproducevano questi comportamenti: ciò vuol dire che le differenze emerse dai questionari vanno prese con le dovute cautele, perché gli stessi parlanti che avevano compilato il questionario poi non applicavano le regole e gli stereotipi descritti sopra nel loro uso quotidiano del linguaggio.

Dunque, se è vero che la componente sociale e stereotipica influisce sulla percezione del linguaggio, non è altrettanto vero che queste differenze sono generalizzabili: ogni studio va preso a sé e rappresenta solo un campione di situazioni.

Fonte: Anna De Marco, L’influenza del sesso nell’uso dei diminutivi in italiano, in “Donne e Linguaggio”, Atti del convegno di studi Sappada/Plodn (Belluno), a cura di Gianna Marcato, Padova, CLEUP, 1995.

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Gloria Fiorentini

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