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Giochi con noi solo se sei maschio: la percezione dei ruoli di genere nella scuola primaria

Giochi con noi solo se sei maschio

Pochi giorni fa mentre passeggiavo attorno al mio quartiere mi è giunta all’orecchio una frase del genere, pronunciata da un bambino che pareva avere all’incirca sette anni, ritto sulla piattaforma di uno scivolo. Non nego che mi ha li per li spiazzato. Forse perché nella mia quotidianità non mi approccio a bambini, forse perché nel mio gruppo di amici non esistono “cose da ragazzi” e “cose da ragazze”. Da li è nato il mio domandarmi quanto del corrente dialogo socio-culturale legato ai ruoli di genere si sia innestato nel tessuto scolastico. A tale proposito ho avuto il piacere di chiacchierare con Elena Meloni, docente di scuola primaria, attualmente di ruolo in un istituto del Centro-Nord.

Buongiorno Elena, innanzitutto avrei piacere che ti presentassi brevemente.

Buongiorno, dunque io sono entrata nella scuola primaria, una volta chiamata scuola elementare, nel 1992, ero piuttosto giovane, per cui insegno da oltre trenta anni. Ho girato diverse scuole nella mia provincia e la mia aree di competenza vertono su materie quali italiano, storia, geografia e musica. Per mia formazione mi sono sempre molto concentrata sull’ambito linguistico e sulla concezione del bambino delle parole e del loro utilizzo.

Il lavoro per superare gli stereotipi di genere deve partire dall’esperienza scolastica

Mi raccontavi prima proprio di evidenze linguistiche, cosa intendevi?

Seguendo quello che è il mio approccio didattico ho fin da sempre introdotto i miei alunni a variare dal femminile al maschile, quindi per esempio partivo dal termine maestra per poi variarlo al maschile. Questo i bambini, e parlo soprattutto di maschi, lo percepiscono come un errore. Diverse volte mi hanno interrotto per farmelo notare, dicendomi proprio: “Maestra si varia dal maschile al femminile, non dal femminile al maschile”. E se chiedevo loro il perché non c’era altra spiegazione che il “perché si fa così”. Era un qualcosa che non corrispondeva alla loro esperienza.

Questo è stato per me un forte indagatore di come anche nella mente di un bambino vi sia radicata una certa prevaricazione del maschile sul femminile, soprattutto dal punto di vista del linguaggio

Vi erano altri elementi-spie di questa mentalità?

Si, specialmente nel modo in cui molti bambini, torno a parlare di maschi, mi raccontavano delle loro dinamiche familiari. I bambini percepiscono il padre come la loro figura ispiratrice, vogliono essere forti come il loro padre, goliardici come lui, specialmente poi ho notato come nel caso di un padre particolarmente sportivo, il figlio volesse di conseguenza eccellere nella stessa disciplina. L’ammirazione verso una figura genitoriale è assolutamente comprensibile e lodevole, il problema sussisteva nel fatto che la celebrazione della figura paterna avvenisse a discapito di quella materna. Anche in famiglie dove la madre ricopriva una posizione lavorativa il figlio maschio non percepiva nella madre lo stesso valore del padre.

Anzi l’assenza della madre, perché lavorava, veniva percepita in modo critico, con disappunto da parte del figlio. Mentre l’assenza del padre per motivi di lavoro era concepita con più naturalezza, un dato di fatto. La preferenza spiccata per il padre era un pensiero totalmente sincero da parte del bambino, ammesso con molto candore e schiettezza. La madre rimane nel loro pensiero ferma a figura consolatrice e di conforto. Da parte della bambine in genere ho sempre notato maggiore equilibrio nel parlare di uno o dell’altro genitore.

Parlando allora di ruoli, nei rapporti tra i bambini hai mai assistito a episodi dove i bambini stessi sentono che devono aderire a certe norme?

Innanzitutto in questo svolge un grande ruolo la famiglia e l’educazione che ha loro impartito. Come dico sempre i bambini arrivano alla scuola primaria dove sei anni di vita, anni in cui hanno assorbito tanto della comunità, del nucleo familiare che li circondava. Nei maschi, a livello statistico l’ho notato soprattutto in figli di famiglie extracomunitarie, era radicatissimo il fatto del non dover piangere. Un bambino estremamente sensibile si trovava combattuto se piangere o meno in determinati contesti, perché per educazione familiare non gli era concesso.

Oppure il fatto di eccellere in attività sportiva, dove vincere è la cosa essenziale. Ho avute anche alunne molto competitive nello sport, ma spesso alcune bambine lasciavano perdere, non si impegnavano come se lo sport fosse area di competenza del maschio e quindi come se di fronte al maschio lo dovesse far vincere. Questo mi sembrava molto connaturato nell’educazione che avevano ricevuto, anche se un genitore non lo diceva espressamente. Basti che in ambito familiare questi ruoli siano mantenuti rigidi perché il bambino assimili questa mentalità, é qualcosa di molto tentacolare, strisciante, non si dice ma viene preso come un dato assodato. I bambini leggono molto di più gli atteggiamenti.

Ovviamente bisogna tenere conto del carattere di ognuno, io ora parlo per massimi sistemi, ho avuto anche alunne che volevano prevaricare in ambito accademico sui compagni, che si sentivano forti di una loro capacità scolastica dove i maschi venivano visti come meno abili. Quindi bisogna sempre comprendere il caso che si ha davanti. Ho però notato come le più libere fossero le figlie femmine uniche. Una figlia primogenita era invece quella che subiva più le pressioni familiari.

E come può in questo intervenire l’ambiente scolastico?

Fintanto che i bambini vivono in contesti che mostrano queste spiccate differenze tra maschile e femminile è molto difficile inserirsi, perché vorrebbe dire che il bambino debba rinnegare quello che apprende a casa. E questo genera un conflitto interiore. Nonostante questo la scuola deve essere in primis un luogo dove la parità di genere è la realtà. Ritengo che prima di introdurre progetti volti ad approfondire il genere, la scuola debba mettersi nelle condizioni di non applicare essa stessi degli stereotipi o, per l’appunto, dei ruoli di genere.

La scuola è dopotutto una realtà a se stante, dove il bambino impara a rapportarsi con gli altri, a vivere come singolo, sviluppando un proprio pensiero critico.

Se messo nella condizione di sentirsi libero, non incasellato in un ruolo o in norme legate al genere, che come ho detto sono nozioni che il bambino può apprendere senza che gli vengano dette, questo è già un primo modo di introdurlo a una nuova lettura.

E si è giunti a ottenere questa libertà?

Questi stereotipi purtroppo permangono ancora nella stessa classe insegnante, a questo proposito racconto un breve aneddoto che mi riguarda. Ricordo che entrai a fare parte di un istituto che comprendeva i tre ordini di scuola: infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Il dirigente ci chiamava le maestrine, a differenza delle professoresse che venivano appellate con il loro titolo. Dovemmo convocare un colloquio per far comprendere quanto per noi fosse svilente venire appellate in un modo che sminuiva il nostro lavoro e il nostro ruolo.

Come se la maestra fosse un prolungamento della figura materna e dunque poiché non è un ruolo socialmente elevato ci si può permettere di rivolgersi a una professionista con un nomignolo.

Che sensazione hai per futuro?

Non ho aspettative, perché non me ne pongo mai nei confronti dei bambini. Penso comunque che da un lato potremo notare una maggiore consapevolezza, nonostante per alcuni versi mi sembra che abbiamo fatto dei passi indietro. Il primo anno che sono entrata a scuola, quindi nel ’92, una delle insegnanti portava avanti da anni un progetto bellissimo sulla sessualità e sull’affettività. Io penso di non avere mai più avuto occasione né come formazione né come proposta didattica di imbattermi in qualcosa di simile. Spero comunque di poter assistere ad assetto scolastico quanto più improntato alla parità anche grazie alla nuova classe insegnante. I bambini percepiscono i nostri valori e imparano da questo, ci chiedono coerenza, di applicare nell’insegnamento e nella vita quello in cui crediamo. Posso solo augurarmi che potremmo liberarci sempre di più dalla staticità di questi ruoli di genere.

Benissimo, io non posso che ringraziarti per il tuo tempo e la tua testimonianza e farti tanti auguri per il futuro!

Grazie a te e ricambio assolutamente l’augurio.

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