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Camaleonti

Sono sempre stata destinata a diventare un camaleonte.

Mi dicono così anche oggi, girando tra i tavoli abbelliti, cugini dimenticati, zii di cui non mi ricordo, parenti dal cognome altisonante che sembrano usciti da una famiglia reale che non è la mia. Tengono i bicchieri in mano, propongono brindisi, parlano ad alta voce.

Alla nostra futura nuova camaleonte di casa. E tutti a tirar su i bicchieri e farli scontrare tra di loro. Gocce di spumante che finiscono sui vestiti, gocce di spumante che bagnano le tovaglie rosa di carta, gocce di spumante che finiscono per terra, bagnano il parquet e lo rendono appiccicoso.  Calpestano le gocce, se le portano dietro sotto le suole di scarpe nuove, di tacchi a spillo, di ballerine mai indossate. Si fanno complimenti ad alta voce. Da quanto non ci vediamo, non sembri invecchiata di un anno, porti ancora la S, come fai a mantenere la linea dopo le tre gravidanze. Parlano incollati l’uno all’altro, tenendo un braccio intorno al petto e con l’altro reggono il calice sempre pieno. Provo disgusto. Cosa li ha fatti diventare così?

Non riconosco nessuno del mucchio. Non mi guardano, pensano solo a parlare tra di loro come un’unica entità che si muove sincronizzata. Sono appiccicaticci, come gelatina, ondeggiano con i loro calici in mano e con le loro pettinature finte, le labbra tinte di rosso sangue, i profumi dolciastri che pizzicano il naso.

Ho la mia torta sotto gli occhi, è un cerchio spezzato in più punti con la glassa sciolta. L’ho tagliata in tanti pezzetti e gliel’ho offerta. Hanno afferrato il piattino, mi hanno sorriso e sono tornati ai loro discorsi, nel loro spazio appiccicaticcio. Io non voglio diventare come loro.

La candelina con il 30 di plastica l’ho buttata per terra. Si è sciolta un po’ anche lei insieme alla glassa e ha macchiato il parquet di cioccolato. C’è il biglietto di zia Teresa accanto, ci ho messo il piede sopra e un’impronta marrone cioccolato ha nascosto gli auguri che aveva scritto a mano.

Alla nostra donna di casa. Buon compleanno e buona nuova vita. Ci ha disegnato un fiorellino accanto che sorride.

Alzo la testa e uno del mucchio si distacca e si mette al centro del lungo tavolo pieno di rimasugli della cena. Ha un cartoncino stropicciato in mano e credo voglia dire qualcosa a nome di tutti. Si schiarisce la voce nasale, si tocca i capelli viscidi e collosi, si stira la camicia e se la appiccica ancora di più al corpo molliccio. Inizia a leggere.

Ce la ricordavamo piccola piccola, tra le braccia di nonna. Da un piccolo scricciolo, che si arrampicava dappertutto e che mordeva ogni oggetto, è pronta oggi a fare un grande passo di coraggio. Lasciare la vecchia pelle a cui si è abituati non è semplice.

Guarda una del mucchio e la indica da lontano.

Pensa a Matilde. Cinque anni fa stava lì davanti la torta, proprio come te. Le si leggeva il terrore negli occhi, poverina.

Ridono in coro.

Aveva perso l’appetito, ricordate? Cucciola, non ha mangiato nemmeno la torta. E invece guardatela ora, com’è diventata. È smagliante. Ci assomiglia di più ogni giorno che passa. Ha imparato subito a muoversi come noi. Sarà lei a seguirti, i primi giorni, poi diventerà automatico.

Si schiarisce ancora la voce.

L’importante è guardare quello che fanno gli altri, sempre. Bisogna essere parte del gruppo, fare quello che fa il gruppo, andare dove va il gruppo. Adattarsi alle occasioni. Scoprire dagli occhi delle persone chi sono e dove vanno. Cosa gli piace fare, cosa vogliono sentirsi dire, cosa pensano. Diventerà naturale. È come indossare una pelle nuova. Io, beh, lo trovo entusiasmante.

Poi, sì, in effetti sentirai una strana sensazione sotto ai vestiti.

Sento prurito sotto l’abito che indosso e inizio a grattarmi. Mentre passo le unghie sopra il tessuto sembra che la pelle si vada staccando. Piccole squame si separano dall’epidermide, come strati di colla che rimane solida. È una mia sensazione o sta accadendo veramente?

L’uomo al centro continua a parlare.

Sarà come indossare una nuova pelle, dicevo. Come una trasformazione di una farfalla da baco, no?

Siamo fieri di te, e si passa la mano sui capelli viscidi, e siamo pronti ad accogliere l’ultimo piccolo camaleonte della nostra famiglia. Poi, afferra il cartoncino e ci passa sopra la lingua.

Non avevo mai visto una cosa del genere. È lunga, stretta, piena di piccole escrescenze bluastre. Poi la stacca e sento lo stesso suono che fa una ventosa. Passa il cartoncino a una donna a fianco. Lei lo prende e se lo avvicina al viso. Apre la bocca e lecca la superficie.

Sta arrivando la mezzanotte, sbrigatevi.

È la voce di un uomo in fondo.

Subito il mucchio comincia a leccare velocemente il pezzo di cartoncino. Sta arrivando a me. Sento i loro occhi da camaleonte addosso. Hanno le pupille dilatate e la bocca allungata in un ghigno storto. Si stringono tra di loro, ancora più incollati di prima, si spingono e si accalcano, non vogliono perdersi la scena. I loro visi si colorano di rosso scuro, prima uno, poi gli altri come un effetto domino. Fisso il bigliettino che si muove sempre più velocemente ed è sempre più intriso della loro saliva che gocciola.

Manca poco e il cartoncino arriva a me.

Ecco l’ultimo del mucchio, poi mi passa quel foglio umidiccio.

Potrei spezzarlo, penso. E intanto sento i loro occhi sbarrati su di me, respirano all’unisono e sono diventati tutti rosso sangue in viso. Guardano l’orologio della stanza. La lancetta si sta avvicinando al 12 e da quel momento non potrò più decidere cosa fare. Il ticchettio rimbomba nella testa. È il suono del mucchio che si accalca ancora più, fino a diventare un agglomerato di materia gelatinosa. Rossa.

Mancano pochi secondi, mia cara. Ho il foglio che sgocciola in mano. E come le goccioline che finiscono per terra, guardo le squame di pelle che lente vorticano fino al pavimento. C’è uno strato sottopelle che non conoscevo, brucia e vorrei asportarlo dal mio corpo. Quella non sono io.

E allora scelgo, per la prima volta. Prendo il foglio e lo strappo in due. Poi al primo rintocco lo divido in altri due pezzi, poi altri due fino a renderlo poltiglia appiccicosa. Loro stanno immobili, sono impietriti.

Sento la pelle bruciare ancora più forte e allora afferro il fiammifero con cui prima ho acceso la candelina.

Ora so cosa fare. Lo accendo e brucio l’agglomerato. E mentre le fiamme circondano il grumo vedo i loro corpi disfarsi. Si sciolgono come cera di una candela. Sono tutti uguali, tutti seguono gli stessi movimenti, tutti finiscono sciolti sul parquet, insieme alle gocce di spumante, ugualmente appiccicosi.

E così esco da quella stanza che sa di bruciato e di pelle carbonizzata. Esco libera e so che da oggi potrò scegliere di essere chi voglio.

Buon compleanno a me.

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Sara Noto Millefiori

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