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La rappresentazione senza rappresentanza: se la raffigurazione mediatica non basta

Di recente, il mio feed di Instagram è stato invaso di reel di Encanto, il nuovo film Disney che vede come protagonista una famiglia colombiana. E per quanto vedere un centinaio di persone che ballano sulle note di “Non si nomina Bruno” mi abbia totalmente assorbita, è stato un reel in particolare a rimanere impresso nella mia mente: un bambino nero sorridente posizionato accanto alla tv dove c’era l’immagine di Antonio, uno dei personaggi di Encanto identico a lui, gli stessi capelli scompigliati, la stessa statura e, specialmente, lo stesso colore della pelle. Sotto il reel, la scritta “La rappresentazione è importante”. Ma è sufficiente?

Il sistema

I prodotti mediatici, specialmente quelli di intrattenimento, sono stati guidati da anni da un unico sistema, soffocante ed escludente: una infinità di maschi, bianchi ed etero che dominavano lo schermo, piccolo o grande che fosse. Pensiamo, ad esempio, a tutte le favolose liste di film da vedere stilate da colossi come il Times, BBC, Empire: la stragrande maggioranza dei film ha come protagonisti uomini etero e bianchi, per non parlare del fatto che dall’altro lato della cinepresa la presenza di chi non appartiene a questo prestigioso circolo sia molto bassa. Tornando ai film Disney, le protagoniste indiscusse sono state le principesse che piacevolmente rappresentavano la concezione dell’epoca delle donne: alla ricerca di un principe da sposare dopo aver cantato insieme un paio di canzoni, rinchiuse nei loro splendidi castelli meravigliosi, pronte a farsi salvare da chiunque arrivasse accompagnato da qualche uccellino.

La rappresentazione

Ora, sicuramente, si può dire che la situazione stia lentamente cambiando: donne emergenti che sui grandi schermi prendono da sole a calci i cattivi, nuove narrazioni che vedono come protagoniste persone di etnie differenti, testimonianze di soggetti che non rientrano nel rigido schema a cui ci hanno abituatə per anni. La rappresentazione delle categorie marginalizzate si è fatta lentamente strada e si è accompagnata a una riflessione più ampia, che sottolinea l’importanza di non escludere sistematicamente ci che non è come noi – o meglio come l’uomo maschio bianco etero nella sua raffigurazione di uomo salvatore. Ma per quanto encomiabile sia la rappresentazione sugli schermi, nei libri o in qualsiasi altro campo, rimane comunque ci che è: una concessione della narrazione egemone.

La rappresentanza

Ciò che vediamo sugli schermi o, comunemente, attorno a noi, non è null’altro che una gentile concessione del Patriarcato INC: c’è una tollerabilità di fondo nei confronti di alcune categorie di persone che ha condotto a una loro rappresentazione. Ci che è più mite, addomesticabile e non troppo dirompente pu passare, tutto ci che invece è troppo sui generis o non corrisponde alle aspettative del Patriarcato INC troverà la strada sbarrata. La narrazione delle voci differenti diventa in questo modo una semplice versione approvata dai piani alti, che non desta troppo sgomento e che non fa traballare il sistema. Un recente caso è stato quello di candidare “una donna” al Quirinale ed è spuntato il nome di Marta Cartabia, che attualmente ricopre il ruolo di Ministro della Giustizia. La prima reazione potrebbe essere di esultanza: è “una donna”, è la rappresentazione delle donne, facendo parte di quella categoria. La seconda reazione: in passato ha rilasciato commenti dal retrogusto omofobo. La domanda: la rappresentazione delle donne basta?
Uno degli scopi del femminismo – così come degli altri movimenti – è la rappresentanza, che va ben al di là della rappresentazione e che sposta l’ago della bilancia dalla raffigurazione alla presa di potere. Quest’ultima diventa un mezzo, uno step iniziale che deve essere necessariamente superato, per svariate ragioni. Anche la rappresentazione più inclusiva sarà solo uno specchio per le allodole ovvero un contentino ben studiato e strategicamente celebrato per tenerci buonə. In più, spesso anche quando le minoranze vengono rappresentate, finiranno per confermare i meccanismi che le hanno portate lì: essere protagonista di un film non rende “una donna” necessariamente portavoce delle donne, specialmente se viene celebrata come una “vera donna” a discapito delle altre; essere “una donna” inserita nei poli decisionali non la rende necessariamente una alleata se poi assimila i comportamenti approvati dal Patriarcato INC e continua a ostacolare i diritti civili.
Quindi, la rappresentazione e la rappresentanza devono viaggiare di pari passo, dando la possibilità a chi non si è mai immedesimato in situazioni al di fuori del rigido schema patriarcale di poter sognare altro, un futuro, una carriera, un amore che non sia quello canonico e imposto. La rappresentazione, infatti, porta all’eventualità di una realtà non normativa, la rappresentanza è quella realtà: prende atto della sua creazione, ne garantisce l’esistenza e ne preserva le persone che la vivono.

Elena Morrone

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