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Donne e damnatio memoriae

Oblio è una parola che le donne conoscono molto bene. Donne scomparse perché oltraggiate dagli stupri, vittime dei pregiudizi, del dramma della stregoneria e di una cultura che le ha sempre volute ai margini. La damnatio memoriae ha cancellato dalla storia un numero indefinito di donne, travolte e punite da una sorta di ordine precostituito che le ha portate ad essere dimenticate.

Cos’è la damnatio memoriae

Damnatio memoriae è una locuzione latina che letteralmente significa condanna della memoria e rappresentava, all’interno del diritto romano, una pena vera e propria. Ai tempi dei Romani poteva colpire principalmente due categorie: coloro che erano considerati nemici dello Stato e i traditori. Avveniva attraverso una valutazione compiuta dal Senato con votazione a maggioranza e rappresentava la condanna peggiore che si potesse ricevere.

Comportava la distruzione delle immagini, la cancellazione del nome, dei ritratti e delle statue, e l’annullamento di tutti gli atti e provvedimenti presi dalla persona condannata, che era solitamente un imperatore o una qualche personalità importante. Si procedeva poi con l’eliminazione del suo ruolo sociale e addirittura anche la casa del condannato era soggetta a distruzione. Tutto ciò che era legato ad esso (o essa) si eliminava in modo che non potesse essere ricordato dai posteri, per questo si parla di oblio della memoria. Tra i Romani, ma in generale anche nella storia dell’umanità, il pensiero che tutto ciò che si compisse in vita fosse cancellato simboleggiava la condanna peggiore. Più della morte vige il terrore che le proprie gesta possano essere dimenticate, che nessuno si ricordi di noi dopo che ce ne saremo andati. Per questo ognuno viveva e vive affinché il proprio nome sia ricordato dai posteri.

Gli esempi più conosciuti di damnatio memoriae

Nerone è un esempio di condanna che non ha funzionato. Odiato dai pretoriani, che lo condannarono alla damnatio, era però amato dal popolo. In questo caso, nonostante la cancellazione della sua esistenza, il popolo trasmise ai posteri il suo ricordo. Altro esempio fu l’imperatore Geta, condannato dal fratello Caracalla, il cui volto, a seguito della condanna, venne cancellato dallo stesso ritratto di famiglia.

Sicuramente in passato, date le scarse disponibilità di fonti storiche era più efficace cancellare qualcuno dalla storia. Le stesse monete e sculture che portavano il volto di un imperatore condannato erano soggette a modifica.

A suo modo la damnatio memoriae è una condanna che ha colpito non solo singole persone, ma anche ideologie, culture e dittature. Lo è stato ad esempio il processo di destalinizzazione in Unione Sovietica, volto ad abbattere tutto ciò che rappresentasse il culto del dittatore. Statue e immagini andarono incontro ad una sistematica distruzione e le riforme attuate durante il periodo staliniano furono eliminate. In qualche modo anche il nazismo praticò una sorta di damnatio memoriae che oggi chiameremmo cancel culture: i nazisti, tra le tante cose, bruciarono innumerevoli libri legati a determinate culture e filosofie. Eternal Sunshine of the Spotless Mind, il film diretto da Michel Gondry, racconta un processo di damnatio memoriae tramite cui il protagonista cancella ogni ricordo legato alla sua relazione con una donna. Come se non fosse mai esistita.

Ma e le donne?

Finora ho parlato di esempi esclusivamente maschili e legati alle ideologie dominanti di determinati periodi storici, ma la condanna della memoria ha da sempre colpito soprattutto la popolazione femminile. Quante storie di donne sono state cancellate dalla memoria dell’umanità? Ester Rizzo, giornalista e scrittrice, ha cercato di raccontare le storie di alcune di loro attraverso un immenso lavoro di ricerca. Così nasce Il labirinto delle perdute, un libro dedicato a tutte le donne che sono state punite con la damnatio memoriae e cancellate dalla storia. Seppure la storia si dica venga scritta dai vinti, nemmeno in questo caso le donne sono riuscite a tramandare la loro vita. Ester Rizzo cerca di fare luce su donne scomode, donne delle guerre e della Rivoluzione francese, donne viaggiatrici, streghe, ma anche donne di paesi lontani, afghane e cinesi.

Il labirinto delle perdute: essere sommerse dalla storia

A tutte le donne perdute che non saranno mai ritrovate.

Così si apre l’introduzione di questo libro, tanto travolgente quanto triste, che percorre le storie di donne uccise due volte. Le zone d’ombra su di loro sono sempre state molte, come molte sono le storie di donne nascoste o cancellate dall’ombra maschile. In un certo senso si può affermare che l’invisibilità sia la radice di tutti i problemi che affliggono le donne. Ad esempio, durante la Prima Guerra Mondiale, le donne misero tutta la loro vita nelle lotte, nel lavoro e nell’accudimento della famiglia, ma questo non bastò. Nel momento in cui la guerra terminò le donne ripresero il loro posto all’interno della casa, dimenticando tutto ciò che avevano contribuito a cambiare. Ritornarono a svolgere il loro ruolo di supporto ai mariti, figli, padri. Dopo essere state massacrate di lavoro e soprusi il ruolo di madre e moglie le inglobò nuovamente.

Le donne scomode, ingestibili, erano condannate ad un sistematico oblio. La stessa Rivoluzione Francese, che sovvertì leggi e pregiudizi lasciò invece indietro le donne, anche se avevano partecipato in gran numero chiedendo il diritto al lavoro e all’istruzione. Le francesi presero attivamente parte alla Rivoluzione attraverso le armi e i Cahiers de dolèance, ma non servì a nulla. Olympe De Gouges, scrittrice e drammaturga, vide la ghigliottina per non essere rimasta a coltivare la virtù della sottomissione confacente al suo essere donna. Dettero il loro contributo alla lotta e poi tutti le dimenticarono. Scrittrici ed inventrici erano costrette ad usare pseudonimi maschili per poter vedere le loro opere pubblicate. Tutte le vittime delle guerre, degli scontri tra culture, subirono l’oblio della memoria, anche se rappresentano numeri altissimi. Ma d’altro canto il corpo delle donne è sempre stato campo di battaglia.

Storie rimosse di sangue versato

Pressoché quasi tutte le storie delle donne si concludono con una fine violenta. La Resistenza è un’impresa ricordata al maschile anche se furono molte le donne che vi contribuirono e ne subirono le feroci conseguenze. Non erano solo uccise, ma i loro corpi anche violati e dissacrati. Ma ancora peggiori sono le situazioni in cui il corpo delle donne è utilizzato (perché sì, accade ancora oggi) per regolare le questioni di guerra. Lo sono gli stupri di guerra, compiuti sia da vinti che da vincitori, che hanno condannato le donne, devastate dalla vergogna, in un limbo di solitudine e oblio. Lo sono le storie delle donne costrette a prostituirsi, a offrire il proprio corpo non alle pallottole del fuoco nemico ma al desiderio sessuale dei soldati.

Donne esploratrici, come Leonie d’Aunet, ricordata per il suo legame con Victor Hugo (a causa del quale finì in carcere per adulterio) e non per i suoi impressionanti racconti di viaggio. Le innumerevoli storie delle neonate della Repubblica Popolare Cinese, sottoposte ad aborti selettivi, o delle donne afghane soggette ai cosiddetti delitti d’onore (che sarebbe meglio definire femminicidi), che le spingevano al suicidio. Queste sono le storie che Ester Rizzo cerca di ricordare attraverso il suo libro. Queste sono le storie che è importante trasmettere alle generazioni future, come monito storico di cosa ha significato per tanto tempo essere una donna e che in ogni parte del mondo in cui saresti nata avresti dovuto affrontare centinaia di ostacoli.

Streghe sono sempre state le donne che hanno osato essere coraggiose, aggressive, intelligenti, anticonformiste, esploratrici, curiose, indipendenti, sessualmente libere, rivoluzionarie. Sei strega perché una donna indomita, arrabbiata, gioiosa e immortale

(Manifesto del collettivo femminista americano Witch)

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Erica Nunziata

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