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SIBILLA ALERAMO: AGLI ALBORI DELLA LETTERATURA FEMMINISTA IN ITALIA

A Sibilla Aleramo la letteratura italiana e il movimento femminista italiano devono moltissimo, eppure il suo nome poche volte compare nei programmi e nei libri di testo scolastici. Stiamo parlando infatti di una delle prime scrittrici pienamente femministe che si affacciano nel panorama letterario del nostro Paese agli albori del Novecento, in concomitanza con le prime conquiste sociali presentate in Parlamento da un gruppo di donne del Partito Socialista (Kuliscioff e Mozzoni tra tutte). Aleramo è stata una giornalista e una scrittrice, ma anche una poeta e un’attivista per i diritti delle donne. L’opera che l’ha resa più famosa è il romanzo autobiografico Una donna. Nonostante qualche illustre precedente costituito dalle opere di autrici del tempo, è stato il primo romanzo propriamente femminista edito in Italia e segna quindi un prima e un dopo nella nostra letteratura per quanto concerne la rappresentazione della figura femminile e la denuncia della sua condizione.

La vita di “Una donna”

Conoscere la vita di Sibilla Aleramo è fondamentale per capire la storia raccontata nel romanzo. Sibilla Aleramo visse tra il 1876 e il 1960 e nacque in realtà come Marta Felicina Faccio detta “Rina”.  Il suo è infatti uno pseudonimo, scelto al momento di avvio della sua carriera letteraria ed è per lei il nome della rinascita. Il nome profetico e poetico, “Sibilla”, le viene ancora una volta suggerito da un uomo di lettere, il suo compagno del tempo Giovanni Cena. È lei però ad aggiungere il nuovo cognome, Aleramo, ispirato alla poesia “Piemonte” di Carducci, dedicata proprio alla sua terra natìa. Nacque infatti ad Alessandria, ma si trasferì presto con la famiglia Porto Civitanova Marche. Qui ebbero luogo gli eventi più sconvolgenti della sua vita, riportati in Una donna. Primo fra tutti il fallito suicidio della madre, che tentò di liberarsi dalla infelice vita familiare e domestica cui era costretta, e poi soprattutto lo stupro che Rina Faccio stessa subì in giovane età da un impiegato della fabbrica del padre, Ulderico Pierangeli. Aleramo sposò quest’uomo, che la iniziò alla stessa vita di emarginazione tra le mura domestiche di sua madre, segnata dalla nascita del figlio Walter e dai continui comportamenti violenti del marito. Lei stessa infatti tentò anche il suicidio senza riuscirci. Per vincere l’isolamento, cominciò ad inviare alcuni articoli a vari giornali, interessandosi alla neonata questione femminile. Nel frattempo il soggiorno presso la casa di Porto Civitanova le divenne intollerabile. Nel 1902 decise di lasciare marito e figlio e di trasferirsi a Roma per collaborare con la “Nuova Antologia”.  Qui conobbe il direttore Giovanni Cena, che divenne il suo compagno ed il primo a suggerirle di raccontare la sua vita in un libro. Dopo la pubblicazione di Una donna, si avviò la sua attività letteraria e di militante femminista, realizzata soprattutto attraverso una fitta attività giornalistica. Inoltre in questi anni scrive numerosi romanzi e poesie, conosce numerosi amori, il più famoso quello per Dino Campana e si trova spesso in difficoltà economiche. Nel 1959 si ammalò di cirrosi epatica, malattia che la condusse alla morte.

Attivismo e femminismo: l’impegno e l’avanguardia di Sibilla Aleramo

L’attenzione al problema dell’emancipazione femminile nacque leggendo uno studio sul movimento femminile in Inghilterra e in Scandinavia legato al movimento operaio. La prima fase della sua attività, dal 1898 al 1911, si collega al cosiddetto femminismo socialista. Esso interpretava la questione femminile come uno degli aspetti centrali della più ampia questione sociale. Nel 1899 Aleramo ricevette infatti la direzione di una rivista, “L’Italia femminile”, cui diede un taglio più politico e attuale. Nel 1904 si prodigò in iniziative legate all’Unione femminile, associazione di Ersilia Majno. In questi anni fondò con Giovanni Cena e Anna Celli le scuole dell’Agro romano: scuole festive o serali collocate nei villaggi più miserevoli della regione e poste sotto l’egida dell’Unione Femminile, con lo scopo di alfabetizzare gli sfruttati. La fine della partecipazione di Sibilla al movimento femminista coincise con la momentanea fine delle rivendicazioni delle donne nel nostro Paese tra le due guerre. Un nuovo impegno nel campo avvenne in un clima diverso, nel secondo dopoguerra. È in quel periodo infatti che l’autrice decise di iscriversi al neonato Partita Comunista Italiano e di collaborare con l’“Unità”. Il movimento, con l’affermarsi di più visioni, si faceva sempre meno monolitico. Questo avrebbe portato più avanti all’esigenza di dover utilizzare il plurale per riferirsi ad esso col termine “femminismi”. Aleramo stessa nel 1949, da anticipatrice rispetto ai tempi, si dichiarò vicina a quello che verrà successivamente definito “femminismo della differenza”, distinguendolo da quello “dell’uguaglianza”. Il femminismo della differenza rivendica infatti le istanze di “diversità” femminile e la necessità della “libera estrinsecazione dell’energia femminile” ed è ad esso che è riconducibile l’opera letteraria in prosa di Aleramo.

Una donna: il romanzo che sfata i miti su maternità e famiglia

Il punto di partenza di questo percorso è proprio da ricercarsi in quella traumatica esperienza personale che in giovinezza segnò profondamente l’autrice ed è raccontata nella sua prima e più famosa opera, Una donna. Il testo è ispirato alla rappresentazione teatrale “Casa di bambola” di Ibsen. La sua elaborazione iniziò nel 1902 e terminò nel 1906, anno della pubblicazione. Il romanzo è diviso in tre parti. La prima dalla fanciullezza della protagonista fino alla nascita del figlio e al tentativo suicida. La seconda racconta i primi passi di una nuova nascita segnata dalle letture e dall’avvio alla scrittura personale. Infine la terza completa il cammino di rinascita, quando la protagonista decide di abbandonare il marito e il figlio per trasferirsi a Roma. Proprio questa scelta introduce la demolizione di due stereotipi narrativi cari alla letteratura, quelli legati alla maternità e alla famiglia. Della maternità Aleramo rifiuta il sacrificio e l’immolazione: “Perché nella maternità adoriamo il sacrificio?… È una mostruosa catena… Riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un esempio di mortificazione, di annientamento”. Lei stessa, quando diventa madre, prova una emozione forte, completa. Allo stesso tempo sa bene che non basta l’esclusività di questo affetto a completare il senso intero della sua esistenza. Il problema che Aleramo pone ai lettori e alle lettrici è la riflessione su quanto la donna può sacrificare di se stessa in nome di un figlio. Si domanda perché la società non accetti che individualità e maternità possano integrarsi e non aiuti le donne a sostenere un equilibrio, costringendole a una scelta. Anche per Aleramo, come per Pirandello, la famiglia è una trappola, ma lo è innanzitutto per la donna e per la madre. Per loro il matrimonio rappresenta, più che per l’uomo, tutto ciò a cui possono aspirare e la realtà in cui devono muoversi e restare. Il matrimonio però rivela ben presto la sua natura di legame deludente e costrittivo. Soprattutto se si tratta di in un matrimonio come il suo, conseguenza di una violenza carnale subita in giovane età e che la inizia alla sessualità con un’inaudita crudezza.

Le maggiori prose di Aleramo: non solo storie d’amore ma tematiche femministe che si approfondiscono

I lavori successivi a Una donna sono stati giudicati dalla critica non tutti alla sua altezza. Eppure, soprattutto nelle opere successive, vi sono considerazioni sulla questione femminile che sorprendono per la loro genialità anticipatrice. Una donna rappresenta sostanzialmente la prima parte di un’autobiografia e Il passaggio del 1919 costituisce la seconda puntata della vicenda dell’eroina. Aleramo qui contrappone l’immagine femminile come pienezza creativa e la lamentosa parola dell’uomo come sostanziale sterilità. Il romanzo epistolare successivo Amo dunque sono del 1927 è invece incentrato sull’amore per Giulio Parise. Di questo romanzo ricordiamo le riflessioni sempre più esplicite sulla sessualità femminile. Tra gli scritti teorici sul femminismo, la raccolta Andando e stando del 1920. Qui Aleramo riflette sulla contrapposizione, in seno al movimento delle donne, tra chi sosteneva che bastassero le lotte sociali di emancipazione e chi rivendicava per le donne una più profonda autonomia intellettuale e interiore. L’autrice parla dell’affanno con cui le donne cercano di somigliare all’uomo. Infatti molte delle donne apparentemente più emancipate non sognano, come la donna sottomessa, di vivere attraverso l’uomo, ma di essere l’uomo. Così facendo, invece di staccarsi dalla logica del dominio maschile, ci dice Aleramo, a loro insaputa la perpetrano: l’unica scelta possibile per uscire dalla dipendenza è quella più difficile, “assomigliare a se stesse”.

Nei romanzi novecenteschi, a partire soprattutto dall’esempio di Aleramo, si metterà sempre più l’accento sul ruolo ingiusto di vittime che le protagoniste in quanto donne spesso rivestono. Accade ne La storia di Elsa Morante del 1978 così come nel più contemporaneo romanzo La figlia oscura di Elena Ferrante del 2006. La mente aperta e coraggiosa di Sibilla Aleramo ha utilizzato la penna per diffondere, attraverso il suo esempio di difficile liberazione personale e intellettuale, un messaggio consapevole di libertà.

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Alessia Merra

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