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Cani Sciolti: l’album specchio della nostra società

Cani Sciolti è il nuovo album della cantautrice Francesca Michielin, uscito il 24 febbraio.
Una voce limpida e dirompente, intrecciata ad un sound delicatamente tagliente, che scioglie le briglie alle note più incazzate e attraverso 12 tracce pone l’accento su alcuni temi di rilevanza sociale: la multietnicità, il razzismo, l’omofobia, la discriminazione, il provincialismo.

“I cani sciolti sono coloro che non stanno dentro ad uno schema predefinito o una corrente, ma sono estremamente liberi di esprimersi. In questo disco io volevo prendermi il lusso di questa libertà.”

Dal titolo, spiegato alla conferenza stampa di presentazione dell’album, si intuisce come la cantautrice abbia sguinzagliato un lavoro coraggioso, mettendo a nudo senza remore i suoi pensieri – soprattutto i più dissidenti – e mostrando sé stessa nel modo più sincero, invitandoci ad abbracciare anche le nostre debolezze e l’essere fortemente fragili.

Scopriamo alcune delle tracce contenute nel nuovo album.

Padova può ucciderti più di Milano

Testo di “Padova può ucciderti più di Milano” dal booklet dell’album Cani Sciolti

Il brano “Padova può ucciderti più di Milano” è una denuncia sociale al pressapochismo e al bigottismo di provincia, ispirato ad alcune opere letterarie – Libera nos a Malo di Luigi Meneghello e Cartongesso di Francesco Maino – che hanno saputo attuare un’analisi critica e costruttiva del Veneto.

La scelta di contrapporre queste due città è legata alle origini della cantautrice e al periodo trascorso nel capoluogo lombardo.
Nata e cresciuta in Veneto, a Bassano del Grappa, prende Padova come provincia medio-grande del suo territorio, che può fungere da modello per chi non è natə in una metropoli. Da qui, avendo vissuto per qualche anno a Milano, il paragone con la metropoli del Nord Italia per eccellenza.

Questo brano ha suscitato notevole scalpore e indignazione nella popolazione padovana e veneta, sia per il titolo che per il testo pungente.
Diversi sono stati gli articoli di giornale e i servizi che hanno trattato la questione, interrogandosi sul presunto “attacco” alla città del Santo.

Tutto ciò mi ha toccata da vicino, sono ormai diversi anni che dal meridione mi sono trasferita a Padova.
È il posto in cui mi sono sentita, per la prima volta, davvero a casa.
Ho trovato tutto quello che mi è sempre mancato, natura e cultura (se si sanno cogliere).
Ma ho incontrato anche storie di vita scritte dalla voglia di fuggire, dalle lacrime e dai rimpianti di non riuscire ad essere ciò che si è.

Padova è una città razzista?

Incappucciata” è la donna musulmana che indossa il velo e che accompagna suo figlio in asilo ogni mattina.
Depressa” è la bimba che preferisce stare per conto suo, sognando ad occhi aperti un mondo che forse ancora non c’è.
Scorfano” è la donna dai tratti nigeriani che viene a prendere sua figlia ogni giorno all’uscita dall’asilo.
Cicciona” è la mamma che si offre di interpretare un personaggio per la recita.
Meglio così se doveva nascerne un altro autistico” si dice della donna che ha perso il suo secondo figlio pochi mesi prima del parto.

Sono solo alcuni dei commenti che ho vissuto a Padova, una città con tante differenze che però spesso non vengono ascoltate – sottolinea la cantautrice – ma non è questo il punto.

Perchè è un brano che può riguardare tuttɜ noi?

Sono commenti che potrebbero sentirsi ovunque. Qualunque città può essere Padova. Qualunque città può essere intrisa da una mentalità provinciale, da un moralismo cristiano che inneggia all’essere tuttɜ fratellɜ, distinguendo poi nei fatti tra quellɜ di serie A e di serie B.
E le città non sono altro che il riflesso delle persone che vi abitano.

Tante persone si professano credenti praticanti, andando a messa ogni domenica e recitando preghiere.
Eppure, tra queste c’è chi cambia canale all’ennesima tragedia in mare, chi cambia posto all’ennesima persona nera accanto, chi cambia volto all’ennesimə mendicante in strada.
Tantɜ di noi pensano che l’Italia non dovrebbe accogliere lɜ migranti, perchè rubano, sono sporchɜ e non vogliono lavorare, ignorando che oggi quel Gesù tanto venerato – un profugo straniero in una mangiatoia – sarebbe stato lasciato morire.
Questo finto perbenismo di chi predica bene e razzola male è ciò su cui il brano cerca di far riflettere.

Scenografia del tour “Bonsoir! Michielin 10”

Padova è una metafora del semplicismo, del bigottismo, del provincialismo che può albergare in ognunə di noi, piccoli tasselli di ciò che chiamiamo città, in questo grande puzzle chiamato società.

Se sta cadendo un ponte, è colpa delle crepe.

L’embrione del degrado morale di una società, di una città, sta nell’insieme di quei piccoli quotidiani pensieri, commenti e gesti che ognunə di noi, suɜ costituenti, compie.

Padova mi ha ucciso molto più di Milano
Ma io resisto e resto qua
Andate in pace cuori in libertà
Amate senza vanità

Il brano termina con queste parole, un grido disperato, e di speranza, alla possibilità di rinascita e di cambiamento.

Ci sono posti sentiti così corrisposti.
Le strade un prolungamento delle arterie.
Una seconda pelle che è come se fosse stata sempre la prima.
E quando arriva il tempo della muta è come se stessero strappando via una parte di te, mutatis mutandis.

Per tutte le persone che si sentono in gabbia, schiacciate, uccise, con il cuore stretto in una morsa nella città che amano. Chi continua a stringere i denti dietro a quelle chiusure mentali e chi se ne libera andando altrove, lasciando un pezzo di sé.
Per chi sceglie di tornare alle proprie radici e di lottare, affinché chiunque possa germogliare in uno spazio concimato dalla diversità, contaminandosi con cura.

Un’esortazione a prendere in mano le città – e le menti – che si abitano per incitarle ad essere umanamente (s)confinate.

Lungi dal voler essere un affronto personale, come ha sottolineato la stessa cantautrice nel suo Substack, il profondo significato di questo brano può essere compreso solo indossando le lenti dell’autoanalisi piuttosto che del mero giudizio.


Ghetto perfetto

Testo di “Ghetto perfetto” dal booklet dell’album Cani Sciolti

Dal ritmo esplosivo e dal sound multietnico, la quarta traccia dell’album è “Ghetto perfetto” , un altro brano a sfondo sociale che tocca il tema dell’inclusività.
Se pensiamo al ghetto come a quello spazio in cui viene relegato e messo ai margini tutto ciò che è considerato anomalo e non conforme, lo “scarto” della società, qui invece la cantautrice con un ossimoro lo fa diventare uno spazio perfetto.

Una matrice comune al brano precedente è la denuncia sociale alle diverse forme di discriminazione, che assume qui le vesti di un mondo utopico in cui c’è spazio per tuttɜ, in cui ogni diversità ed espressione di sé diventano ricchezza.

Fidati, dai, nessunə fuori, tuttɜ quantɜ dentro
Un ghetto perfetto


Il testo ci permette di immaginare un mondo in cui ognunə di noi mette la propria diversità – e i propri privilegi – a disposizione dellɜ altrɜ, in cui non esiste la paura dell’altrə ma la curiosità di immergersi nel mo(n)do d’essere altrui, per arricchirsi a vicenda.
Come a dire “fammi assaggiare un po’ della tua diversità e assaporane un po’ della mia”.
Si racconta il bisogno di uscire dalla propria comfort zone, di aprirsi a ciò che è altro da sé, di scoprire cosa c’è oltre il confine del proprio orizzonte, e di affrontarlo.
Di plasmare, a volte, l’ambiente circostante, di renderlo adattabile e non solo di adattarvisi.

L’idea di una comunità costruita sulla contaminazione, di etnie, di religioni, di condizione sociale, di identità, di corpi, di parole, di pensieri, richiama l’immagine di una foresta: un ecosistema dominato dalla biodiversità, dalla coesistenza di una varietà di organismi che necessitano di contaminarsi per sopravvivere.

Vado a contaminarmi
Vado a fare un bagno
Dentro la foresta

“Gli spazi diversi si specchiano uguali rappresenta lo slogan del brano: nella diversità che ci caratterizza, possiamo riconoscerci tuttɜ esseri umani.


Claudia

Testo di “Claudia” dal booklet dell’album Cani Sciolti

Claudia nasce come manifesto per tutte quelle donne che hanno sempre trovato in repertorio pezzi declinati al maschile e non hanno mai potuto dedicare una canzone d’amore ad un’altra donna.

Anche tra le righe di questo brano si scorge una denuncia nei confronti di tutti quei commenti non richiesti e domande fastidiose che vengono fatti rispetto all’orientamento sessuale di una persona.
Un aspetto così intimo e personale che diventa oggetto di discussione, di scherno, di disprezzo, di umiliazione, di violenza, soprattutto quando si discosta da quello che ci si aspetta.
Ecco allora il monito a lasciare in pace le persone:

La gente non ha mai davvero un cazzo da fare,
E sempre troppo cose da dire
Spesso non necessarie

E all’interno di un mondo in cui l’amore viene declinato in un solo modo, in una sola direzione, ci si chiede: in che lingua dovrebbero amarsi due come noi?
Come se la parola “amore” non fosse universale e universalmente riconosciuta come tale.

Ma, se puoi, vienimi a pigliare dentro questo mondo
Che è una cattedrale di cui siamo infedeli e bambini indifesi

Questa metafora racchiude il riflesso della nostra società.
Una società dove, da un lato, chi non rientra in quella “sacra” eteronormatività viene condannato a sopportare il peso morale dell’essere infedele e contronatura, dovendo lottare per far sì che il proprio amore abbia lo stesso valore di quello “naturale”. E sentendosi bambini indifesi in una società che, dall’altro lato, calpesta il diritto di esistenza dei propri sentimenti, il diritto di essere tutelatɜ, il diritto di avere dei diritti.

non so come fare
per restare negli occhi di chi non mi vuol vedere

Ci si sente pervasɜ da un senso di invisibilità in una società che diventa cieca di fronte a ciò che è altro da sé.


Cosa ci lascia quest’album? In un mondo volto alla performatività, al successo, alla competizione, alla ricerca della perfezione, Cani Sciolti ci insegna ad andare controcorrente, a prenderci il nostro tempo, ad amare la nostra imperfezione e a non aver paura di mostrare le proprie fragilità, a credere nelle proprie idee e ad esprimere i propri pensieri, anche se dissidenti, perché non bisogna solo compiacere ma anche stare sul cazzo a volte.

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Alessia Gelo

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