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Oliva Denaro di Viola Ardone: colpa e desiderio di essere liberi nella Sicilia degli anni Sessanta

La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia.

Inizia così l’ultimo libro di Viola Ardone intitolato Oliva Denaro: raccontando una frattura. Frattura di carne, frattura di tempo. La prima racconta di umano, di antiche sentenze tracciate sulla mappa del corpo. La seconda ci ricorda invece dell’incontro arcaico ma sempre attuale tra due donne: le noi di un tempo, e le noi di ora.

Siamo a Martorana, piccolo paesino sperduto nella Sicilia rurale. Gli anni Sessanta, qui, scorrono ad un ritmo lento, che trascina nella sua danza vecchi costumi ingombranti, l’arretratezza di leggi non scritte, del pregiudizio che si incolla addosso senza mollare la presa. Oliva Denaro nasce tra queste vie e rappresenta, per la letteratura italiana contemporanea, uno dei personaggi femminili più simbolici degli ultimi tempi.

Oliva ha quindici anni, ancora troppo pochi per entrare nel mondo degli adulti, ma non abbastanza per esserne oscura alle tacite regole. Le piace studiare, imparare parole difficili, correre “a scattafiato” nei campi di grano e giocare con Saro, l’amico di una vita. Non le piace invece avere “il marchese“. Lo teme. Come si temono tutte le cose che generano cambiamento. Perché, nella Sicilia degli anni Sessanta, avere il marchese significa una cosa sola: la fine della vita di prima, della purezza che ogni cosa giustifica. Il marchese è una linea rossa tracciata sull’innocenza bambina, che invece è bianca. Poi niente è più lo stesso. Il sangue cambia sempre le cose, il sangue prepara. E Oliva sa che è questo che significa diventare grandi: avvicinarsi al matrimonio. E fare di tutto per arrivarci intatte. Le brocche rotte non le vuole nessuno.

Io non so se sono favorevole al matrimonio. Per questo in strada vado sempre di corsa: il respiro dei maschi è come un soffio di un mantice che ha mani e può arrivare a toccare le carni. Così io corro per diventare invisibile, corro con il mio corpo da maschio e il mio cuore da femmina, corro per tutte le volte che non potrò più, per le mie compagne con le scarpe chiuse e le gonne lunghe, capaci solamente di camminare a passi corti e lenti, e pure per mia sorella, che è rimasta tumulata in casa come una morta ma ancora viva.

Oliva Denaro è, poi, la storia di un abuso subito, che il muto sistema di oppressione femminile obbliga a nascondere come una colpa. Ed è una storia di ribellione, di sentenze, di verità taciute. Di corpi che sono fardelli per la libertà della mente. Di genitori e di figli, dello slegarsi da fili che aggrovigliano, nella matassa di anni che avanzano e faticosamente cambiano.

Qui passato e presente viaggiano in corsa e si accavallano, perché la Martorana del 1960 esiste ancora oggi negli occhi di chi crede in un sistema maschilista patriarcale, favorendo chi non ha nulla da temere e colpevolizzando chi invece da temere ha tutto. Ricordiamo che solo nel 1981 sono stati aboliti il matrimonio riparatore e il delitto d’onore dal nostro codice penale italiano, e che solo nel 1996 lo stupro è diventato reato contro la persona.

Viola Ardone, con il suo Oliva Denaro, affida alle nostre generazioni un romanzo di formazione e di denuncia di una bellezza struggente. Ci racconta di tempi e luoghi in cui la libertà era un faro nel buio, da noi donne osservato solo in lontananza. Sullo sfondo respira una Sicilia ruvida, che sa di campi incolti, di strade sterrate e ancorata ad epoche antiche, che ci hanno lasciato in eredità la potenza delle leggi non scritte.

 “Perchè abbiamo bisogno di battaglie, di petizioni, di manifestazioni? Di bruciare reggiseni, di mostrare mutande, di implorare di essere credute, di controllare la misura delle gonne, il colore del rossetto, la larghezza dei sorrisi, l’impellenza dei desideri? Che colpa ne ho io, se sono nata femmina?”

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Francesca Feder

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