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Dalla Nigeria all’Italia: la tratta delle donne nel XXI secolo

Si chiama Blessing e la sua storia inizia a Benin City, capitale della Nigeria. È il febbraio del 2022. Le strade sono dissestate e fangose, l’aria trasporta con sé granelli di polvere inquinata grandi quanto chicchi di riso. Qui la miseria si è impadronita di ogni angolo, ad ogni angolo la si respira. Letale, come una malattia. Come la guerra. Dà tormento e poi assuefazione. Blessing studia per diventare infermiera, ogni tanto riesce a fare anche qualche turno in ospedale, deve imparare in fretta. Vuole un futuro migliore per la sua famiglia. Salvare le persone e salvare sé stessa. I soldi però mancano sempre, e lei ha sei fratelli più piccoli e un padre che non c’è più. A casa si saltano i pasti e non ci sono pannolini. Manca tutto. È questo che l’ha portata, una mattina di febbraio, ad affidarsi ad un’amica di sua madre che le ha detto “Se hai bisogno di soldi vai a lavorare in Italia, fai la cameriera oppure la donna delle pulizie, così cambi la tua vita, metti apposto tutti e poi te ne torni qui”.

Allora Blessing ha accettato, come accetta chi si ritrova a fare i conti con la fame e il crescere dei bambini. Senza guardarsi indietro.

Il 24 febbraio 2022 inizia così, da Benin City, il suo viaggio che durerà tre lunghi mesi e che, dopo aver attraversato il deserto del Niger, la porterà a Gasr Garabulli, cittadina sulla costa occidentale della Libia che si affaccia sul Mar Mediterraneo. Da lì partirà un barcone diretto in Sicilia, nel Bel Paese.

Blessing ha 18 anni e le ossa sporgenti, tiene sulle spalle uno zainetto giallo logoro con qualche vestito stropicciato all’interno e un sacchetto di nylon bianco bucherellato con tutti i suoi documenti. Lo tiene stretto a sé come se si trattasse di una cosa che vive. Lo protegge perché è tutto ciò che conosce. La sua vita passata e la chiave per quella futura, dall’altra parte del mare.

Perché nella riva sbagliata, la sua, tra le baraccopoli immerse nel fango e l’aria irrespirabile, è stata abituata a credere in un’Italia che è la terra promessa.

Non si perdonerà mai per averlo creduto.

Le madames e il rito juju

Blessing ancora non sa che la donna che aiuterà lei e tutte le altre ragazze ad uscire dalla Nigeria è una madame. Essere madame, nel 2022, significa ricoprire il più alto ruolo di trafficante di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, con l’inganno di offrire loro un impiego in Italia e migliori condizioni di vita. La promessa di un lavoro a Roma, Milano, o Napoli come cameriera, parrucchiera, donna delle pulizie, per adescare giovani donne in condizioni economiche disagiate da inserire poi nella rete della prostituzione italiana, dove questo fenomeno è ormai abituale e dilagante. Una madame si offre di anticipare i soldi del viaggio di andata, (somma esorbitante a cui le ragazze sono estranee ma che può arrivare fino ai 50 000 euro), debito che poi, viene detto loro, “dovrà essere ripagato con il primo mese di stipendio.” Poi si procede con un rito juju, originario dei credi animisti dell’Africa subsahariana, durante il quale vengono prelevati unghie e capelli della persona come sottoscrizione di un contratto. Un vero e proprio patto di sangue, la cui recessione risulterà poi impossibile una volta stilato, agganciando quindi la vittima alla catena degli abusi e del ricatto una volta arrivata a destinazione.

Schiavitù del XXI secolo: la tratta

In Italia, secondo la stima dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga ed il Crimine (UNODC), si calcola che le donne di etnia nigeriana vittime di tratta finalizzata a scopi sessuali siano dalle 5 000 alle 8 000 ogni anno, tutte tra i 16 e i 30 anni, molte di loro provenienti dalla regione di Benin City, zona conosciuta negli ultimi vent’anni per gli assodati legami con trafficanti italiani.

Il fenomeno della tratta, tanto antico quanto tristemente moderno e in continuo mutamento secondo nuovi criteri e catene, è considerato una forma di schiavitù in quanto priva esseri umani della propria libertà fisica ed intellettuale, approfittando del contesto sociale poroso e fragile nel quale risiedono.

Parlare della tratta nigeriana, indagarla, equivale ad aprire una matrioska e scoprirne all’interno strati mai uguali a quelli precedenti, contrari eppur complementari, sintesi di decenni di storia che, nel suo evolversi, ha trovato il modo di continuare ad affinare i metodi di assoggettamento dei più disperati.

Negli ultimi anni, un nuovo fenomeno è entrato in stretto contatto con la rete della tratta delle donne, diventandone codipendente: i Cults. Confraternite di tipo religioso, composte da giovani armati implicati molto spesso in crimini e atti violenti, vengono ingaggiate dalle madame per intimorire, molestare e non di rado uccidere le ragazze che vi si oppongono, o che, una volta arrivate in Italia, vogliono denunciare. I membri dei Cults sono presenti ovunque, agiscono in Nigeria, in Libia, in Italia e sono sparsi sul tragitto della migrazione, punto nevralgico nella rete del trafficking italo-nigeriano.

Una volta arrivata in Italia, Blessing è stata prima inserita nel centro di accoglienza profughi nei pressi del porto di Pozzallo, comune di Ragusa, e poi successivamente prelevata da un trafficante in accordo con la madame alla quale appartiene. La direzione è Vicenza, nel Veneto. Lì è stata costretta a prostituirsi per le strade italiane, alle quali sin dal principio era destinata, fino a 13 ore al giorno. Era quella la realtà che si nascondeva dietro alle promesse.

La storia di Blessing è la storia di migliaia di donne, prima e dopo di lei. Di un ieri e un domani che ancora non prevede cambi di rotta, ma che ogni giorno si intensifica e muta sotto vesti che sono le stesse, richiamando un passato di schiavitù che è eternamente presente al nostro cospetto, nelle nostre strade, quando spegniamo la luce.

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Francesca Feder

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