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Uomini che non odiano le donne

Alcuni uomini scelgono di ignorare completamente il femminismo, altri – pur mantenendo le distanze – lo accettano, altri ancora, come Davide Ricchiuti, che ho intervistato, lo abbracciano e lo problematizzano. Davide ha infatti fondato la prima rivista letteraria indipendente che pubblica solo contributi di voci femminili, Pro.Vocazione; ho deciso di porgli qualche domanda per comprendere appieno non solo cosa voglia dire ricoprire questa posizione e quale valore le attribuisca, ma anche la sua visione sul femminismo.

Ciao Davide! Presentati alle lettrici e ai lettori di Viole di Marzo!
Ciao, mi chiamo Davide, sono un tizio che scrive. I miei racconti si trovano su riviste e antologie, e a volte li leggo ad alta voce in serate di reading. Chissà che un giorno non ci si veda in giro. Anche perché presento articoli e saggi teorici a conferenze e realizzo podcast letterari. Insomma, sono uno che tenta di capire il periodo culturale in cui vive. Uno di questi tentativi mi ha portato a fondare una rivista letteraria femminista che si chiama Pro.Vocazione. Se proprio dovessi definirmi in qualche modo, direi che sono un attivista letterario.

La tua è una “rivista diretta da un uomo, che pubblica solo autrici”; qual è stata la molla che ti ha spinto a voler fondare una rivista tutta femminile-femminista?
La molla è stata l’insonnia. Il 21 febbraio dell’anno scorso ho letto un tweet di Milena Gabanelli che, dopo l’ennesimo femminicidio, si chiedeva dove fossero gli uomini quando c’era bisogno di manifestare a favore delle donne, prendere posizione, far sentire la propria voce. Quella notte non sono riuscito ad addormentarmi, continuavo a pensare a come avrei potuto replicare a quella domanda. Verso le 6 di mattina mi sono alzato con l’idea di rispondere in modo concreto alla richiesta della Gabanelli. Mi trovavo a Lisbona in quel periodo e si parlava di nuovo di lockdown a causa dell’aumento dei casi Covid. Questo fatto ha giocato un ruolo molto importante perché la lontananza geografica dal mio paese e l’impossibilità di partecipare fisicamente a eventuali iniziative contrarie ai femminicidi in Italia mi ha dato un impulso decisivo. Creare una rivista cartacea e online che fosse possibile diffondere nelle librerie indipendenti italiane fuori da qualsiasi logica di mercato – la rivista è gratuita, finanziata da me e, da giugno 2022, anche da chi lo desidera attraverso la piattaforma di crowdfunding GoFundMe – e che pubblicasse solo contributi di donne, mi sembrava un atto coerente con le mie attitudini. A quel punto dovevo solo cominciare a mettere in piedi una redazione al femminile e cercare autrici che sposassero il progetto.

Perché “Pro.Vocazione”?
Pro.Vocazione perché uno dei luoghi comuni usati dagli uomini che abusano delle donne è che la violenza sia diretta conseguenza dell’atteggiamento provocatorio di una donna, quando invece la responsabilità dell’atto di violenza sta solo in chi lo commette. Ma anche perché l’intento della rivista è esso stesso provocatorio: escludere un genere, quello maschile, dalla possibilità di pubblicare su questa rivista – che tratta temi come aborto, identità di genere, violenza domestica, abusi psicologici e verbali – mi consente di ricordare a certi uomini che esiste uno squilibrio storico molto rilevante tra le opportunità di educazione, istruzione, espressione di opinioni, voti alle urne, dignità giuridica, che hanno avuto le donne e le opportunità che hanno avuto gli uomini. Questi ultimi, purtroppo, da sempre – nella maggior parte delle culture – sono stati e sono tuttora monopolizzatori di scelte per conto del genere umano.
Credo che essere consapevole, come uomo bianco caucasico etero cisgender, di trovarmi in una posizione di privilegio, sia il primo passo che tutti noi uomini dovremmo fare per approcciare la questione del femminismo e del patriarcato.

Cosa vuol dire, per te, essere femminista?
Comprendere il femminismo significa comprendere la posizione di chi, nel corso della storia, è sempre stato alla base della piramide di potere, e quindi non solo le donne, ma anche tutti gli oppressi. Ne parla anche il filosofo contemporaneo Lorenzo Gasparrini nel suo libro “Perché il femminismo serve anche agli uomini” (Edizioni Eris).
Essere femminista, per me, significa aprirmi al mondo con occhi nuovi: è possibile che solo le donne debbano agire a favore della riduzione della disparità tra i generi? Naturalmente, le donne sono in grado di agire da sole per gli obiettivi che ritengono corretto raggiungere, anzi, per fortuna esistono donne più forti ed emancipate dell’ottusità che il patriarcato ha prodotto negli uomini: Lola Olufemi in “Femminismo interrotto” (Perrone Editore) mostra che varie minoranze stigmatizzate di donne asiatiche e africane si sono sapute organizzare – prima ancora che il loro lavoro venisse intercettato sotto il termine “intersezionale” – creando, ad esempio, centri di aiuto per donne del Sud dell’Asia che, negli anni ‘70, venivano sottoposte a test invasivi sulla verginità all’aeroporto di Heathrow dal Ministero degli Interni inglese per provarne l’ammissibilità al visto in Uk. È in questa scia che s’inserisce il mio piccolo contributo nel dibattito femminista. Vorrei dire alle donne che non saranno sempre costrette a difendersi dagli uomini. Non esistono solo quegli uomini che, ai vertici di potere, approvano decreti o leggi assurde come quella appena nominata (o che non li approvano, come i senatori italiani quando si trattava di far passare in Senato il DDL Zan), ma esistono persone che sono disposte a mettersi in gioco, mostrare la faccia, prendere qualche insulto per dire: noi uomini non siamo tutti così coglioni.
Inna Schevchenko dice nel libro “Eroiche” (Perrone Editore) che l’esistenza di una donna in un mondo dominato dai maschi – fatto di limiti, regole discriminatorie e moralismo umiliante – è di per sé eroica. Lei scrive proprio per rendere omaggio a quelle donne che hanno osato mettere sotto accusa lo status quo patriarcale. Ebbene, pensa che bello sarebbe se un giorno non ci fosse più bisogno di scrivere libri del genere perché finalmente anche gli uomini avranno avuto la capacità di mettere sotto accusa lo status quo patriarcale e, insieme alle donne, cambiare le cose in meglio. In questo senso, sono molto curioso di sapere che tipo di Carta costituzionale verrà pubblicata in Cile a settembre 2022. Si tratta della prima volta nella storia in cui le donne, nel momento di creare l’Assemblea costituente, sono state considerate con pari opportunità di scrittura e intervento rispetto agli uomini.

Una rivista di sole autrici potrebbe risultare come un’ennesima esclusione?
Hai detto bene Annalisa: nel concetto provocatorio della rivista è insito il desiderio di escludere qualcuno. Se si vuole provocare intenzionalmente, bisogna farlo davvero. E chi scrive su Pro.Vocazione lo sa. Sa che, proprio nel momento in cui accetta di pubblicare sulla nostra rivista, sta partecipando in modo attivo a dare un segnale a coloro che si trovano sulla punta della piramide di potere patriarcale. Quegli stessi che di solito non mettono mai in dubbio la loro posizione, le loro opinioni, i loro privilegi. Io credo che gli uomini siano degli insicuri. È per questo che temono la parità, bramano il potere e si spaventano se un altro uomo fa ciò che è nelle sue facoltà per dare il suo contributo affinché ogni donna abbia l’opportunità di essere sé stessa in modo degno e libero.
Se pensiamo al gap salariale tuttora esistente tra uomini e donne che ricoprono lo stesso ruolo all’interno della stessa azienda, può venire spontaneo chiedersi: chi sfrutta l’intelligenza femminile senza riconoscerne il valore davanti agli altri? Saranno forse quegli stessi uomini che ora si sentono esclusi da Pro.Vocazione?

Hai mai subito qualche forma di attacco dato che, da uomo, ti occupi di donne?
Sì, ho subito alcuni attacchi online da persone che non sono state in grado di ragionare, se poste di fronte a questioni storiche e socio-politiche, riguardo alla discriminazione subita dalle donne, ma che hanno avuto la capacità di insultare senza argomentazioni me e la rivista. Invece di persona, durante alcune presentazioni, ho incontrato uomini e donne che avevano voglia di confrontarsi sul tema della questione femminile, problematizzandolo. Ed è questo il senso della rivista: creare dibattito intelligente, argomentato, magari davanti a un bicchiere di vino in un locale o in una libreria. Ma, diciamo la verità, se stai compiendo un atto femminista te ne accorgi proprio perché prima o poi fai incazzare qualcuno: su questo concordo pienamente con Giulia Blasi che ne parla in “Manuale per ragazze rivoluzionarie” (Bur Edizioni).

Il tuo attivismo è multimediale: dirigi la suddetta rivista, scrivi racconti e crei podcast. Quale ritieni sia il mezzo più efficace per sensibilizzare sul femminismo?
Di recente ho scritto un articolo per la rivista “Contesto” (Edizioni Del Frisco) in cui argomento la tesi secondo cui saranno le fanzine in futuro, così come lo sono state in passato, il mezzo attraverso cui la controcultura potrà passare di mano in mano e diffondersi sempre di più. Questo perché la globalizzazione digitale a cui siamo sottoposti non fa altro che aumentare il tracciamento dei nostri movimenti, dei nostri acquisti e anche dei nostri pensieri. Ogni app tiene memoria delle azioni facciamo quotidianamente attraverso specifici algoritmi e tenta di prevederne di nuove, ma nessuno può tracciare o fermare una fanzine che nasce in modo spontaneo e analogico e che viene distribuita a livello cartaceo, da persona a persona, lontano dalle logiche multimediali. Io uso i mezzi digitali contemporanei per creare cortocircuiti di pensiero. Sono sui social – mezzo rapido ed effimero per eccellenza – perché voglio dire agli amici, ai conoscenti e ai followers: rallentiamo, prendiamoci del tempo per riflettere, per leggere, per ascoltare musica, per guardare una serie, per studiare, per parlare faccia a faccia, per vivere un tramonto senza bisogno di fotografarlo e postarlo, per ripensare le nostre vite. E una volta che abbiamo più chiaro il nostro percorso, allora sì, possiamo anche immaginare di fare scelte che trasformino il mondo. Partiamo dal piccolo, però. Partiamo da noi. Per rispondere alla tua domanda: siamo proprio noi, i nostri cervelli che pensano e i nostri corpi che agiscono nel tempo e nello spazio, il mezzo più efficace per sensibilizzare gli altri sul femminismo.

Parlaci dell’ultimo numero!
L’ultimo numero è il 5. I costi di stampa e spedizione sono stati in parte coperti grazie alle persone che hanno aderito alla campagna di crowdfunding intrapresa su GoFundMe, che è tuttora aperta: chiunque può donare in qualsiasi momento per permetterci di lavorare ai prossimi numeri. Quindi, grazie a chiunque sposerà la nostra causa e grazie alle collaboratrici di Pro.Vocazione che rendono possibile ogni volta questo sogno, che sono l’illustratrice Raquel in Dreams, la editor e correttrice di bozze Valeria Zangaro, e la direttrice dell’agenzia di stampa editoriale SMC, Stefania Massari, che si occupa della rubrica #leggiunascrittrice. E poi ringrazio Paola Zoppi, la giornalista ospite di questo numero, che ci ha regalato un’intervista incredibile con Diamela Eltit, una delle scrittrici cilene contemporanee più importanti. Paola, insieme a tutte le nostre autrici, ci ha donato non solo questa intervista, ma anche una parte di sé: ogni numero di Pro.Vocazione, infatti, è monografico, nel senso che contiene un solo racconto o articolo dell’autrice che ospitiamo, ma anche una foto e una didascalia che ne rappresentino la poetica o l’approccio alla vita. Dopo aver parlato di identità di genere, body shaming, aborto clandestino e violenza domestica, in questo numero ci occupiamo di memoria, di corpi, di regime e ci si interroga, con la Eltit, se abbia senso o meno operare una distinzione tra letteratura e letteratura femminile. Attualmente in spedizione, spero possiate trovare presto il numero cartaceo nelle librerie indipendenti che aderiscono al nostro progetto, ma se non ci doveste riuscire è sempre possibile consultarlo online sul sito https://pro-vocazione.onuniverse.com/ e su Instagram al profilo @pro_vocazione.

Dalle parole di Davide traspare quanto il femminismo sia – e debba essere – un concetto tanto ampio quanto potente, capace di tracciare percorsi e perpetuare pratiche di libertà; in sostanza, lo ripetiamo, dovremmo essere tutti femministi.

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